Perverso, aggressivo, malato. Il lungo cammino dell’erotismo cinematografico

Marlon Brando e Maria Schneider in Ultimo tango a Parigi

Sesso e cinema sono un connubio non molto prolifico, e men che mai si può dire che sia stato apprezzato appieno nel corso degli anni, ma quando un film sull’erotismo, di quelli ben fatti, esplode, diventa famoso davvero, e quando un (bravo) regista si mette in testa di esplorare la sessualità, arriva fino in fondo. E mi si perdonino i doppi sensi contenuti in queste frasi.

Il genere erotico propriamente detto nasce all’incirca negli anni sessanta, e da allora in poi ne ha fatta di strada. Non c’è bisogno di specificare che la sensibilità del pubblico odierno, e forse persino i gusti, sono cambiati anch’essi col cambiare del tempi, e dunque anche il senso del pudore, intendendo con questo il limite di ciò che si può e non si può far vedere al cinema. Non che anni fa i cineasti ci andassero poi così piano. Basta citare Ultimo tango a Parigi per capire di cosa stiamo parlando. Nel 1972 il capolavoro di Bertolucci causò al regista non poche polemiche, tanto da essere addirittura privato dei diritti politici per cinque anni per aver offeso i tanto suscettibili spettatori italiani. Oggi come oggi, al massimo uscirebbe con un visto censura per i minori di 14 anni.

E allora, cos’è cambiato in sostanza in questi quattro decenni? Poco e niente, forse. Diciamo che si vede qualcosa in più, giusto per non usare eufemismi. Ma non si dica che Pier Paolo Pasolini, quando diresse Salò o le 120 giornate di Sodoma, o Nagisa Oshima con Ecco l’impero dei sensi, si siano tanto preoccupati di non turbare l’animo di chi li avrebbe visti, ed erano anche quelli degli anni settanta. Quando diciamo che è mutata la sensibilità, vogliamo intendere non quella di chi il cinema lo fa, ma di chi lo guarda soltanto: giovani e adulti, di questi tempi, si lasciano scandalizzare molto di meno. Invece, sembra essere rimasta immutata l’ottica con cui il cinema analizza e ispeziona la sessualità, e qualche esempio recente ci aiuterà a comprendere meglio.

Michael Fassbender in Shame (2011)

Partiamo da un film uscito nelle nostre sale proprio quest’anno, Nymphomaniac del danese Lars Von Trier. In realtà si tratterebbe di due film, visto che è stato diviso in due capitoli per ovviare al problema della eccessiva durata. La ninfomane in questione è Charlotte Gainsbourg, ovvero Joe, attratta dal sesso fin dalla giovane età e mai finalmente appagata. Joe va a letto con gli estranei, intrattiene molteplici relazioni contemporaneamente, fa sesso sempre e comunque. Ed ogni volta che la vediamo concedersi al prossimo partner, avvertiamo che c’è qualcosa che non va, che la sua vita è povera di veri affetti, che si sta spingendo verso un baratro dal quale molto probabilmente non uscirà mai più. Altro film, altro esempio. In Shame (2011), premiato a Venezia per la miglior interpretazione maschile, acclamato dalla critica un po’ ovunque, Brandon (Michael Fassbender) è un trentacinquenne affetto da disturbi e dipendenze vari. In primis, dalla dipendenza dal sesso. Brandon non fa l’amore, Brandon scopa, e non lo fa per divertimento, ma perché ne ha bisogno, non può farne a meno. È lui stesso a vergognarsene, a intuire la malsana sregolatezza delle sue intime pulsioni, e mentre lo vediamo sfilarsi i pantaloni a ogni occasione, scorgiamo sullo sfondo tutta la miseria di una vita sentimentale e familiare andata in frantumi. Sessuomane, ma con una spiccata preferenza per la pornografia, è anche il Don Jon di Joseph Gordon-Levitt nell’omonimo film del 2013. Jon ha una ragazza affascinante al suo fianco, di quelle che un uomo farebbe carte false per avere, eppure non la desidera quanto il suo amato porno: tra la vita reale e il sesso su video, lui preferisce quest’ultimo. Nell’ultimo lavoro di Paul Schrader, The Canyons, la parola sesso fa rima con violenza, gelosia, tradimento: nella relazione tra Christian e Tara, l’unica cosa che sembra funzionare è l’intesa sessuale. Non c’è fiducia, non c’è rispetto, non c’è amore. Si potrebbe chiamare in causa anche Tentazioni (ir)resistibili, pellicola del 2012 trascurabile ma che, se non altro, può aiutarci nella nostra digressione. Anche qui, ancora una volta, si parla della sex addiction di un gruppetto di persone che si aiutano l’un l’altra per tentare di uscire dal tunnel. E ancora Secretary del 2002, dove la pratica sessuale si lega alla tendenza all’autolesionismo e alla sottomissione della protagonista, o il classico di Kubrick Eyes Wide Shut, o Crash. Qualunque titolo ci venga in mente, si adatta al nostro caso.

Helen Hunt e John Hawkes in The Sessions (2012)

Farebbe eccezione The Sessions – Gli incontri (2012), uno dei pochi, forse l’unico film visto di recente che mostri l’altro lato della medaglia. Ispirato alla reale esperienza del poeta Mark O’Brien, The Sessions colpisce per la tenerezza, la genuinità, la purezza con cui i protagonisti si approcciano all’atto sessuale. Emerge dalla massa per bisbigliare che il sesso può essere pulito, innocente e anche passionale, che fa parte di noi. Per il resto, in giro è tutto lerciume. Non i film in sé, alcuni, anzi, delle autentiche opere d’arte; ma è quello che si vede ad essere sporco, malato, contaminato. Saran passati pure cinquant’anni, ma al cinema, il sesso è sempre, o quasi, irrimediabilmente intorbidito dalla violenza, dalla perversione, dalla sfrenatezza. Ieri come oggi, registi e scrittori portano la nudità sullo schermo per intrufolarsi tra le pieghe più oscure dell’animo umano, e quel che vi trovano è tutt’altro che piacevole. I protagonisti di Racconti immorali (1974) sono incestuosi, quelli de I diavoli (1971) sono blasfemi, e quelli di Sesso, bugie e videotape (1989) dei traditori. Nessuno si salva. Avere rapporti sessuali, al cinema, significa rimetterci l’onore, la dignità e l’anima per sempre.

Andrea Vitale

Napoletano di nascita, correva l'anno 1990. Studia discipline umanistiche e poi inizia a lavorare nel cinema. Nel frattempo scrive, scrive, scrive sempre. Ama la musica e la nobile arte delle serie tv, ma il cinema è la sua prima passione. Qualunque cosa verrà in futuro, non abbandonerà la penna. Meglio se ci sia anche un film di mezzo.

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