L’uomo è manifestamente un essere pensante, qui sta tutta la sua dignità e tutto il suo pregio, e tutto il suo dovere sta nel pensare rettamente.
B. Pascal
Pascal porta ai massimi livelli la tesi di Cartesio secondo cui l’uomo è il più perfetto degli animali perché detentore di intelletto. Ma il confine tra il mondo umano e quello animale è piuttosto labile. Spesso la ragione cede il passo a quella bestialità insita in ogni uomo, che guida le azioni più violente e perverse, e scindere i due mondi diviene quasi impossibile.
Nemico giurato della ragione è l’amore nelle sue molteplici sfumature: l’amore tra un uomo e una donna, tra due individui dello stesso sesso o semplicemente tra l’essere umano e l’animale. Un rapporto puro, ingenuo, ma che in certi casi può tirare fuori il lato più oscuro, malato e passionale nascosto in ciascuno di noi.
Alla fine provò una passione per la sua pantera; perché aveva pur bisogno d’affetto.
Il racconto di Balzac apre le porte al mondo della letteratura zoofila.
La parola zoofilia deriva dal greco zôon, animale, e philia, amicizia, propensione, amore. Tralasciando le distorsioni malate e pornografiche, associate a tale termine nella società moderna, esso diviene in letteratura mezzo di indagine nei riguardi di una società che sembra non voler mutare mai.
La società del vizio, dell’alcool e della miseria, abitata da ribelli, disadattati, visionari, anticonformisti ed emarginati che, non riuscendo ad adattarsi alla società in cui vivono, prediligono l’animale all’avidità vuota e falsa dei rapporti umani, ultimo portavoce di quella purezza e ingenuità d’animo che l’uomo preferisce sacrificare a favore dei soldi, del successo e del potere. Non a caso il soldato napoleonico di Balzac, una volta rientrato in patria sano e salvo, continuerà a rimpiangere per il resto della sua vita la sua pantera.
Ma il mondo della letteratura zoofila è sterminato, dall’800 a oggi diversi scrittori si sono soffermati su tale tema per indagare la doppia natura dell’essere umano – metà angelo e metà bestia.
Nella lettera di Lord Chandos (1902) Hofmannsthal evoca l’amore di Crasso per una murena addomesticata, “un pesce ottuso, muto, con l’occhio rosso”. A chi gli rinfacciava di aver pianto per la sua morte, Crasso replicava: “Ho fatto per la morte del mio pesce quel che tu non hai fatto per la morte della tua prima né della tua seconda moglie”. In Leda senza cigno (1916) di D’Annunzio, il protagonista, Moriar, scopre la deliziosa amante soccombere all’affettuoso assalto di una muta di levrieri: “oh questo!” mormora dolcemente la donna mentre riceve le leccate di un superbo esemplare. “Il lungo muso le era contro la gota … le dita nude si insinuavano nel bel manto come nella piuma molle che è sotto l’ala”. Nel 1933, la Gatta di Colette ha la meglio sulla giovane Camille. La donna si rende conto che il marito ritorna ossessivamente dai genitori solo per rivedere la sua gatta. Ingelosita, getta la rivale dalla finestra ma il felino sopravvive e il marito indignato lascia la moglie. La gatta non è un semplice animale, è l’infanzia inconsolabilmente perduta, è la casa, la madre comprensiva e discreta; ma è anche, nello stesso tempo, il simbolo lievemente inquietante dell’impossibilità di essere normali.
Ma il senso reale del romanzo, in un crescendo culminante, viene fuori solo nella scena finale, in cui i due personaggi maschili vengono sconfitti: Adam non riuscirà a spiegare scientificamente le doti intellettive del mammifero che ha di fronte, dimostrando così i limiti della scienza e della ragione stessa; Erasmus non riuscirà a portare a termine la sua salvifica missione. Questa scimmia-uomo non è qualcosa che precede l’uomo, semmai “viene dopo di noi”, è quello che saremo. Sua missione è cambiare la mentalità corrente, lo stile di vita occidentale, il mercantile rapporto uomo-natura, al fine di salvare l’uomo da un destino distruttivo fondato sulla pretesa dell’assoluta superiorità scientifica che ha già rivelato i suoi limiti dal momento in cui Erasmus è piombato nel nostro mondo. Ma l’uomo unico detentore del verbo e dominatore incontrastato di tutte le sue forme viventi, dinanzi alla paura del diverso, non può fare altro che urlare e barricarsi in casa, costringendo gli umanoidi a ritornare nella loro terra d’origine ad aspettare il momento in cui l’essere umano diventi adulto.
Con questo romanzo Peter Hoeg coglie appieno quel lato della psiche umana che preferisce guardarsi in forma animale. Può bastare un artiglio a certificare la bestia che è in noi. Gli animali diventano, così, terreni rischiosi e affascinanti incarnazioni di una selvaticità che nascondiamo dentro di noi e con cui di tanto in tanto scendiamo a patti.
Martina Massa
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