Declinazioni della poesia dell’attimo
Leggere un componimento poetico vuol dire entrare in quel mistero letterario che è l’ispirazione del poeta. La parola viene dipinta, resa eterna, generando così nel lettore emozioni tali che il sentire del poeta travolga i sensi del lettore. Come dice Ugo Foscolo nel suo Saggio sopra la poesia del Petrarca:
« […] al genio è peculiarmente largita la facoltà di osservare il lavorío segreto della natura umana in quanto può nel cuor di lui e d’ogni altro; e per essa è fatto capace di descrivere que’ sentimenti, e recarli addentro nell’animo d’ogni lettore. L’alto segreto dell’arte del poeta sta nel farci sentire l’esistenza per forza di simpatia […] »
Soffermandosi, poi, sull’aspetto estetico di una poesia ci si ritrova dinnanzi a componimenti in cui l’immagine evocata dalla parola poetica risulta intrisa di valori universali, tali da rendere possibile un parallelo tra la poesia giapponese e parte della poesia italiana del XX secolo e, più precisamente tra le forme della poesia waka e haiku, semplificazione stilistica e strutturale del primo genere, e le forme della poesia ermetica e simbolista.
Per chiarire il parallelo tra tali due culture letterarie, quella orientale e quella occidentale, cito, come esempi, una poesia di Ki no Tsurayuki:
Con le maniche bagnate
attinsi dell’acqua
che, poi, si chiuse nel gelo.
Oggi, primo giorno di primavera
il vento lo starà sciogliendo
una poesia di Matsuo Basho:
Un cuculo.
La grande notte di luna
penetra il bosco di bambù
una poesia di Edoardo Sanguineti:
Sessanta lune
I petali di un haiku
Nella tua bocca
e una poesia di Giuseppe Ungaretti:
Balaustra di brezza
Per appoggiare stasera
La mia malinconia
Si può notare in primis la brevità compositiva, propria di tutte le poesie citate, che reca con sé una semplicità sintattica e una complessità semantica che può ben essere interpretabile tramite un’analisi psicoanalitica di esse. Le sfere linguistiche logiche e razionali del significante e del significato sottendono a un’interpretazione poetica emozionale e inconscia ove per un intreccio di generalizzazioni viene a svelarsi il sensus poetico.
Si ha, così, non una poesia complessa resa con l’uso di artifici retorici o di metafore, bensì una poesia definibile, alla maniera ungarettiana, “dell’attimo”, con la quale si sottolinea quella “urgenza” di empatia e di cosmica armonia tra l’es della Natura e l’ego umano e dove le parole cariche di significato simbolico si ordinano in metriche talvolta libere, talvolta fisse, ma sempre costituite da una frammentarietà del verso che se da un lato permette un’immediatezza mnemonica, dall’altro comporta una complessità cognitiva e interpretativa. L’elemento fondamentale, conditio sine qua non, diviene il legame tra uomo e natura. Il riferimento stagionale è una costante necessaria a costruire il discorso affrontato: tale riferimento può essere floreale, faunistico, meteorologico, temporale, come si evince dai vari esempi riportati, e ha in sé il potenziale simbolico psicoanalitico di generalizzare lo stato d’animo del poeta.
Ecco allora che, per dare un’interpretazione della poesia di Ungaretti riportata, tramite l’analogia, si costituisce una comunione simbolica tra una brezza serale e la malinconia dell’animo umano mentre, da un punto di vista formale, nella poesia di Sanguineti, appare subito visibile lo stretto rapporto intercorrente tra la forma giapponese e la trasposizione stilistica e strutturale italiana: le 17 more suddivise in tre versi rispettivamente da cinque, sette e cinque quantità vocaliche vengono rese in italiano attraverso una terzina composta da un quinario, un settenario e un quinario, facendo corrispondere così l’accentazione sillabica, propria della prosodia italiana, alla quantità vocalica, propria, della prosodia giapponese.
Tale “poetica dell’attimo”, quindi, declinata, in maniera diversa ma con uguali effetti, nella letteratura giapponese e nella letteratura italiana, crea un intimo e stretto rapporto tra l’uomo e la Natura, cogliendo la magnificenza di questa attraverso l’immediatezza della sua propria parola la quale, scevra da razionali costrutti, parla nel lasso temporale di un attimo, all’animo umano.
Roberta Attanasio
Ciao,
volevo fare alcuni commenti all’articolo. Sono anche io interessato alle composizioni Haiku, per un’antica abitudine a ricercare un confronto con la cultura orientale, o comunque con quei modelli culturali lontani dal paradigma occidentale.
E devo dire che mi trovi in disaccordo su alcuni punti. Vado in ordine:
1) non credo sia possibile, se non forzandolo, un approccio tra psicanalisi e poesia Haiku. Questi componimenti trovano la loro maturazione nel Seicento, proprio con Basho (da te citato), che nella sua opera maggiore (Oku no hosomichi) inserisce questi brevi componimenti in un diario di viaggio, in cui racconta un pellegrinaggio nel Giappone settentrionale. L’impressione principale data da quei testi è sì sintesi di un rapporto uomo-natura, realizzata però non attraverso “empatia cosmica” tra Es e Natura, ma registrando un piccolo particolare che suggestioni il lettore a tal punto da evocare l’ambiente circostante in toto.
Quindi nulla di condivisibile con una disciplina che ha trovato la sua piena affermazione nei primi anni del Novecento;
2) non possiamo dire che si tratta di componimenti “dove le parole cariche di significato simbolico si ordinano in metriche talvolta libere, talvolta fisse”.
L’Haiku ha una struttura fissa da secoli: sono tre versi, dove il primo è 5 more, il secondo 7, il terzo 5. Una mora, è un’unità di suono determinata sulla quantità della sillaba, come accadeva con il latino.
Ovviamente le mie osservazioni sono applicabili solo agli Haiku e non agli esempi riportati di Ungaretti e Sanguineti, che invece possono risentire dell’influenza della psicanalisi.
Ciao!
Ti ringrazio per aver letto l’articolo e per avermi dato la possibilità di chiarire alcuni punti che sono stati fraintesi.
La dicitura di forme fisse e libere non si riferiva agli haiku, nell’articolo è ben specificato che essi sono costituiti da more, ma alle loro declinazioni nella poesia italiana: è ben visibile come nell’esempio di Ungaretti riportato non ci siano certo 5, 7 e 5 sillabe per verso.
Analogo discorso di fraintendimento per la psicoanalisi: lo stesso Freud ci parla in un suo saggio, quello su Amleto ed Edipo, per fare un esempio, di analisi psicoanalitiche applicabili a testi i cui autori proprio perché precedenti al XX secolo non potevano che ignorare. Io ho cercato di trovare proprio spiegazioni psicoanalitiche a testi che non nascono con l’intento di essere analizzati da essa. Parto dal presupposto freudiano dell’interpretazione della psiche del poeta creatore, dei suoi strati più profondi.
Nell’articolo si spiega come l’interpretazione delle poesie è su base emozionale, nel cui ambito psichico vigono, tra l’altro, regole di generalizzazione: dire, cito le tue parole, “l’impressione principale data da quei testi è […] sintesi di un rapporto uomo-natura, realizzata […] registrando un piccolo particolare che suggestioni il lettore a tal punto da evocare l’ambiente circostante in toto” si trova in accordo con ciò che dico: nel lettore si attua proprio un processo di generalizzazioni, si esprime la parte ma si evoca il tutto. È chiaro che nel caso degli haiku da me citati l’interpretazione psicoanalitica non è voluta dal poeta, per quello che già ho chiarito prima, ma è il lettore che vuol applicare questa scienza alla poesia che la interpreta in tale modo o, potrei dire, sempre su basi psicoanalitiche, che è portato dal proprio inconscio a farlo.
Chiaramente il mio è un punto di vista, è il mio modo di vedere queste declinazioni, ma la letteratura è bella perché è fatta da varie voci e vari pensieri.
C’è chi la critica letteraria la basa anche su teorie psicoanalitiche e chi no.
Ti ringrazio per questo scambio d’idee!
Grazie a te.
Dalla prima lettura dell’articolo questi punti mi apparivano poco chiari. Ora non più!