Il susseguirsi della sua produzione letteraria ha dimostrato negli anni, a partire da quel fatidico 1982, quando il Memorial do Convento gli ha procurato successo anche al di fuori del Portogallo, che l’autore non ha mai prodotto opere simili a se stesse. Ogni romanzo è nato da una riflessione, da quelle che nelle sue carte l’autore definiva “antiche preoccupazioni” (soprattutto in riferimento al postumo Alabardas, Alabardas, Espingardas, Espingardas).
I romanzi di Saramago nascono dalla necessità di trovare risposta a quesiti che, in una certa misura, tormentano le sue riflessioni. “Se tutti al mondo divenissero ciechi?” (Ensaio sobre a Cegueira); “Se alle prossime elezioni tutte le schede risultassero nulle?” (Ensaio sobre a lucidez); “Se si interrompesse la morte?” (As intermitências da morte); “Se la penisola iberica si staccasse dal resto del continente?” (A jangada de pedra). Puntualmente la risposta è un saggio-narrativo, un romanzo filosofico, o comunque il volume che ci ritroviamo tra le mani quando, da semplici lettori, decidiamo di dare una possibilità all’autore portoghese. Per ognuno dei quesiti Saramago ha creato un mondo che non lascia tracce negli altri romanzi (tranne nel caso di Ensaio sobre a Cegueira e Ensaio sobre a lucidez che sono l’uno la continuazione dell’altro) e solamente guardando dall’alto l’intera produzione dell’autore lusitano possiamo avere l’impressione di concepire quest’universo narrativo, che non è altro che saramaghiano.
L’ aggettivo saramaghiano, seppur usato dagli studiosi, non ha ancora trovato una sua definizione, se non quella più ovvia:
Saramaghiano:
L’autore lusitano, premio
E gli elementi non mancano: Saramago sovverte l’ordine della storia, della natura, dei sensi, della filosofia, della religione, per esaltare la realtà, precisamente, un punto di vista di questa. Il suo potrebbe essere una sorta di realismo potenziato, dove l’autore, sadico, crea il caos per osservare poi il comportamento degli umani. Non è un realismo che si pone l’obiettivo di raccontare il mondo così com’è, tutt’altro, è un realismo che partendo da un paradosso, da un estremo, da un’improbabilità fa luce su alcuni aspetti della realtà e li mostra nella loro crudezza.
“Perché siamo diventati ciechi?” si chiedono i personaggi di Ensaio sobre la Cegueira… «Penso che non siamo diventati ciechi, penso che siamo ciechi. Ciechi che vedono, ciechi, che, vedendo, non vedono», è la risposta.
In questo sta il realismo di Saramago, in un paradosso che fa da lente d’ingrandimento sul reale. Un reale che su consiglio dell’autore si legge ad alta voce, linearmente, senza inciampi nelle tante voci della scena narrativa. Saramago non chiede mai al nostro cervello di mettere in scena quel teatrino dove ogni dialogo fa salire sul palco diversi interpreti con diverse voci. Tutto scorre su una sola corda vocale, quella del lettore, che inseguendo le parole nel testo non inciampa nelle probabili interruzioni ed è costantemente imprigionato dalle immagini suggerite dall’autore. Questa peculiarità, quella dello stile orale, aveva avuto i suoi prodromi in Guimarães Rosa, ed è diventata in Saramago una carta d’identità.
Non ci è concesso quindi associare l’opera di Saramago a quella di grandi scrittori (per esempio lo si è definito kafkiano), perché Saramago è di per sé un grande interprete della letteratura, portoghese prima, internazionale poi, unico nel suo genere.
Saramaghiano:
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