Racconto: Il pullman. Storia di una solitudine
Pronto a partire fuma solo un’ultima sigaretta prima di salire sul pullman. Avido inghiotte a pieni polmoni catrame, nicotina e monossido di carbonio. Dieci boccate e del bianco splendore della sigaretta nulla è rimasto, solo un filtro continua a biondeggiare un po’ ammaccato tra le mani di Francesco.
Un gesto, uno scatto di dita e il filtro, inutile reperto, precipita sull’asfalto a far compagnia a una buona schiera di suoi simili delle più svariate marche. Asfalto regno dell’inutile che una volta era stato utile, che aveva avuto un prezzo ed era stato acquistato con moneta corrente ottenuta attraverso svariate ore di lavoro. Merce costata lavoro per essere ideata, progettata, prodotta, pubblicizzata, venduta, acquistata, giace ora inerme alla mercé dei piedi distratti dei passanti.
Il pullman apre le porte e Francesco si è già inserito poco diligentemente nella fila di anonimi corpi scalpitanti che procede lenta e intasata tra gli “scusi”, “faccia attenzione”, “non spinga”, “ma le pare il modo?”, “uff”. Spalle si urtano, corpi si slanciano nel tentativo di passare avanti mentre altri corpi mantengono coraggiosamente la propria posizione. Francesco sbuffa, nemmeno fosse una balena, infastidito dalla ottusa lentezza dei suoi predecessori, ma ormai è già nel pullman pronto a convalidare il proprio titolo di viaggio se non fosse ulteriormente rallentato e ostacolato da chi davanti a lui temporeggia alla ricerca di un posto. Questione di attimi, seppur interminabili, e l’obliteratrice è a portata di biglietto, questo però a quanto pare non vuole saperne di esser timbrato nonostante l’evidente verginità. Pochi secondi ed ecco una voce seccata arriva repentinamente alle orecchie di Francesco. La voce sembra appartenere a un’attempata signora malamente truccata che con eccessiva foga e spreco di forze vitali cerca di far notare che è inutile intralciare oltre lo stretto corridoio del pullman vista la possibilità di convalidare il biglietto a penna. Inevitabile un’irritata risposta a voce alta, e una breve e interrotta disquisizione sui mali italici, sul malgoverno e sulla maleducazione imperante.
La fila è impaziente, i piedi tamburellano, il pullman è in ritardo. Con attenzione e calcolo Francesco studia il corridoio, i posti occupati; vuole una coppia di sedili tutta per sé . Si slancia su un sedile sul lato del finestrino e con giubbino e borsone costruisce una piccola torre di guardia rendendo impraticabile il posto adiacente al suo. Una grattata, un aggiustamento di mutande e il pullman è partito.
Prelevare il cellulare dalla tasca è naturale come starnutire. Un paio di tocchi di dita esperte ed è connesso. In maniera quasi istantanea il prezioso pensiero di Francesco viene condiviso con più di ottocento persone; tra queste le cinquecentotrentasei al momento connesse poterono leggere : “ che palle! Mi devo sparare 3 ore di pullman! :(”
Pensiero acuto spazzato via con la velocità di un clic da altri accattivanti status quali:
- Juventino ladro e ignorante la tua invidia è la mia forza!
- Incredibile video ! un orso spara al piattello….guardatelo 🙂
- Che fame 😛 ! oggi mi cucino una parmigiana…
- Forse c’è qualcosa di peggio dei sogni svaniti: la non voglia di sognare ancora. Cit. Fabio Volo
- Uff
E poi foto di facce, foto di corpi, foto di gruppo, foto di cani, foto di gatti, foto di conigli, foto di birra, foto di vini, foto di piatti, foto di paesaggi, fotomontaggi, foto con aforismi, foto, foto e ancora foto. Tra queste campeggiano link, video, hashtag, news, inviti, recensioni, eventi, messaggi privati, gruppi, fanpage e ogni cosa è sottoposta all’imperscrutabile e indefinitivo giudizio del pollice verso.
Inebriato dal potere Francesco mipiacizza, commenta, polemizza, flirta, socializza.
Un bip inaspettato e la batteria è rimediabilmente scarica, e il tablet dimenticato in un attimo di distrazione prima della partenza non potrà sostituire il cellulare ormai spento coattamente dalla mancanza di energia. È solo, il pensiero della noia prossima ad arrivare lo atterrisce, rimangono due ore e mezzo circa di viaggio. Molti volti appartenenti ai corpi dei compagni passeggeri sono debolmente illuminati dalla luce artificiale dei loro apparecchi elettronici intelligenti. Bip, piripì, fli fli, e altri innumerevoli suoni vibrano nell’aria viziata del pullman avvisando dell’arrivo di notifiche e messaggi. Degli ottanta passeggeri ben cinquantadue sono impegnati in complicate e molteplici relazioni interpersonali a distanza, in uno scambio che riesce a coinvolgere contemporaneamente più di quattromila persone. Gente che ha molto da dire e da commentare.
Escluso, Francesco guarda fuori dal finestrino ammassi di terra, alberi, cemento, strade e macchine sfilare con metodica monotonia. Gli piace, non gli piace? Stranamente non lo sa. Scruta le facce dei compagni di viaggio, imperfette, male illuminate, sciatte, stanche –“ci vorrebbe un bel filtro fotografico!”.
Affascinato da questo suo ultimo pensiero prende il cadavere del suo smartphone per condividerlo con il mondo finendo solo per alimentare il disappunto per la scarsa durata delle batterie. Riprende a guardare il mondo fuori, annoiato si lascia cullare dalle fuggevoli, indistinte immagini del paesaggio e dal gentile ronzio del motore. Sogni agitati di prigioni e di urla soffocate non tardano ad arrivare così come non tarda ad arrivare il risveglio. Gli occhi appena aperti sono abbagliati dal bianco, bianco ovunque. La vista non si abitua, le forme non prendono lentamente vita, tutto rimane bianco. Francesco prova a scuotersi ma non c’è niente da scuotere, non c’è nessun corpo a rispondere agli stimoli della sua mente; prova a chiudere inutilmente gli occhi, non ci sono palpebre c’è solo bianco. Nessuna bocca, nessun urlo può inquinare l’aria. Un pensiero, un ultimo sconosciuto pensiero e Francesco non è più.
Il pullman arriva a destinazione con sedici minuti di ritardo, i passeggeri disordinatamente abbandonano i posti che avevano fatto loro per tre ore. L’autista prima di ripartire controlla velocemente il pullman, su un sedile giacciono abbandonati un giubbino, un borsone e un cellulare scarico.
Lorenzo Di Paola
Ho particolarmente apprezzato l’antropomorfizzazione degli oggetti 🙂
Mi fa muy piacere che ti sia piaciuto 🙂