Quegli sporchi ultimi otto minuti

Colter: Cosa faresti se sapessi che ti rimangono otto minuti da vivere?
Christina: Farei in modo che quei minuti contino.

Un po’ di tempo fa mi capitò di vedere un film che, a dire la verità, non apprezzai poi molto; quando poi l’ho rivisto in televisione mi sono data una seconda occasione, ho deciso di rivederlo, ricomprenderlo. Il film in questione è Source Code.

Inizia subito nel vivo dell’azione, il pubblico ha lo stesso effetto del protagonista, capirà poco alla volta la storia e cosa sta succedendo: l’ufficiale dell’ Aeronautica Colter Stevens si trova a far parte di un programma governativo sperimentale per sventare attacchi terroristici.  Il “codice sorgente” (Source Code) è un dispositivo sperimentale creato dal dottor Rutledge, scienziato che lavora per la Beleaguered Castle (un’unità militare), che permette ai propri utilizzatori di vivere gli ultimi otto minuti di vita di un’altra persona all’interno di una linea temporale alternativa. Un attentato ha già avuto luogo e ha colpito un treno per Chicago uccidendo molti passeggeri, su quel treno c’era un uomo, Sean Fentress, un insegnate, Colter sarà costretto a rivivere più volte gli ultimi 8 minuti di vita nel corpo di Sean fino a che non riuscirà a individuare l’attentatore e prevenire così il prossimo attacco terroristico programmato.

Nonostante sia un film di fantascienza, Source Code richiama le atmosfere Hitchcockiane di North by Northwest (Intrigo internazionale), soprattutto nell’ambientazione all’interno del treno, nella tensione che deriva dalla ricerca del colpevole da parte di un uomo comune improvvisatosi detective. Per quanto riguarda il tema del loop temporale, molto si richiama a Groundhog Day (Ricomincio da Capo), di Harold Ramis, in cui il protagonista rivive continuamente lo stesso giorno, per la trama si richiama al più recente Déjà Vu di Tony Scott, dove un agente di un’agenzia governativa statunitense – grazie a un sofisticato strumento tecnologico – torna indietro nel tempo per prevenire un attentato a un traghetto e la morte di una ragazza. Inoltre, è possibile cogliere richiami a una serie TV di fantascienza prodotta negli anni ’90, Quantum Leap, in cui il protagonista, il dottor Samuel Beckett, viaggiava a ritroso nel tempo assumendo in ogni episodio le sembianze di una persona diversa. In realtà il mio primo pensiero durante la visione del film è andato a Minority Report, “la precrimini”, il programma governativo, il desiderio di prevenire a tutti i costi ciò che in realtà non possiamo governare, la paura di non fare mai abbastanza, il bisogno di una sicurezza attiva al 100% in ogni luogo, la perdita di una normalità, della tranquillità. Fino a che punto può spingersi l’uomo per la propria salvaguardia, e quando arrendersi al proprio destino?

Ma la vera domanda, che il film lascia in sospeso, seppure ripetuta due volte nel film è “ cosa faresti se sapessi che ti rimangono otto minuti da vivere?”. Viviamo una vita così frenetica, dove le piccole cose non le osserviamo, dove rimandiamo sempre quello che avremmo dovuto fare, una vita che non valorizziamo, che non viviamo mai davvero; una vita in cui il tempo scorre e noi veniamo solo fagocitati in questo vortice, tutto quello che vediamo accadere nel mondo è sempre percepito come lontano da noi, “accadrà a lui, non a me”. E se ti restassero otto minuti, quegli sporchi ultimi otto minuti, cosa faresti? Io forse chiamerei mia madre, perché mi chiama sempre, centinaia di volte al giorno, spesso anche per non dire niente, ma so che la sua voce mi rasserenerebbe, chiamerei mio padre per dirgli che gli voglio bene, chiamerei mio fratello per scherzare ancora, osserverei le nuvole, farei per una volta quello che il mio istinto e il mio cuore mi dicono di fare, anche io insomma, farei sì che quei minuti contino.

Potenzialmente ottimi erano gli sviluppi iniziali del film, purtroppo nel momento in cui Jones avrebbe dovuto dare la zampata decisiva e trasformare il film in un gioiello, ecco che si scivola in un eccesso di stucchevole melassa hollywoodiana, ed è qui che mi ha probabilmente deluso: un buco nero di buonismo e banalità, con un finale non dico irritante ma quantomeno deludente. Ed è un peccato perché prima degli ultimi 15-20 minuti questo aveva tutto per essere definito un bel film.

Esiste probabilmente  una versione alternativa di noi stessi; quella che ha fatto scelte diverse, che ha intrapreso strade diverse.

Otto minuti sono una vita.

Anna Chiara Stellato

Giovane napoletana laureata in lettere, da sempre innamorata della sua città, del dialetto e della storia di Napoli. Lettrice compulsiva, appassionata di cinema d’autore e di serie tv. Sorrido spesso, parlo poco e non amo chi urla.

2 Responses

  1. Me lo ripeto spesso, cosa farei se stessi per morire, che si tratti di otto minuti o meno. Ci sono stata in una situazione di vita in ultimatum e quello che ho fatto è stato… vivere la mia vita come ogni altro singolo giorno fino ad allora. Poi l’ultimatum è scaduto e non è successo nulla, per fortuna.

  2. contenta per te che l’ultimatum sia scaduto e che non sia successo nulla. Credo che comunque l’esperienza ti abbia segnato!! vivere ogni singolo giorno come fosse l’ultimo, spesso lo scriviamo, noi giovani, sulle nostre bacheche dei social ma quanto davvero ci crediamo?? è la normalità che tu hai scritto che spesso perdiamo di vista, crediamo sia noiosa, ma è un dono anche quello 🙂

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