Borghesia e Letteratura: uno sguardo dall’alto
Borghesia e letteratura. Sembra strano, forse, non pensare in un rapporto d’incontro queste due idee nella cultura contemporanea; la borghesia in un modo o nell’altro ne entra a far parte: siano borghesi i protagonisti, sia la borghesia la classe presa di mira, siano borghesi i costumi. Appare quasi essa una conditio sine qua non della letteratura, e in particolare del romanzo, in età moderna. Lo studioso György Lukács a tale riguardo afferma in un suo saggio che il romanzo «acquista i suoi caratteri tipici solo quando diventa la forma d’espressione della società borghese». È lecito pensare come tale unione sia sorta in seguito alla formazione storica e più precisamente economica della classe borghese prima ancora che sociale e politica e che prima di tale momento la letteratura fosse unita a un’altra classe espressione di prestigio: quella aristocratica. La letteratura si modifica, così, con la storia dell’uomo e i grandi autori della letteratura sanno codificare in imperiture forme artistiche tali concezioni.
Il romanzo si sviluppa in un periodo, quello dell’età moderna, in cui si svolgono scontri politici volti al prestigio sociale tra l’aristocrazia, la vecchia nobiltà di spada, e la borghesia, la nuova nobiltà di toga, e per essa si profila la necessità di riabilitare il proprio nome e la propria classe sociale, legata a quell’idea di mercatura anche senza scrupoli etici, servendosi dello stesso mezzo letterario che fino ad allora era stato quasi esclusivamente appannaggio dell’aristocrazia: la letteratura. Ecco che il romanzo va delineando i suoi caratteri e in età moderna può davvero definirsi tale, prendendo l’eredità dei racconti d’avventura in cornice sviluppatisi in età medievale e, come si è detto, sottendendo alle loro trame un intento quasi apologetico, rivoltando spesso i messaggi: il bourgeois, il mercante che vive in periferia fuori dalle mura cittadine, diviene in età moderna il protagonista proprio di quella vita sociale cittadina; non sarà più, dunque, espressione di quella classe mercantile dedita al guadagno e scevra di moralità, anzi si farà proprio portavoce di un nuovo codice etico, che mostrerà i suoi più alti compimenti nell’età dell’Illuminismo: si mostrerà come la classe del futuro che metterà pace nelle discordie provocate dalle disparità sociali portate dalle nobiltà. Ci si trova, ora, nell’età dei Lumi, quella che porterà con sé l’ideale di “libertà, uguaglianza e fratellanza”.
La letteratura aristocratica continua a produrre le sue opere ma quella borghese, in chiave storica e sociale, sembra divenire voce protagonista. Società che si scontra contro se stessa, quella parte ancora dedita al guadagno, e contro la realtà feudale e aristocratica. Un esempio di questo è rintracciabile ne I dolori del giovane Werther di Goethe. Il romanzo borghese diviene allora voce di una rottura dell’equilibrio tra il singolo e la società e tra gli stessi individui, l’uno nei confronti dell’altro. In questo, uno dei punti di separazione tra l’epos classico e l’idea di epopea borghese e tra le idee più sociali di comunità e di individualismo.
In questo discorso tra borghesia e letteratura può risultare interessante citare il grande “romanzo italiano delle pluralità”: I promessi sposi. Le pluralità sono date dalla presenza contemporanea di varie sfaccettature della realtà, e a tal proposito Marco Viscardi, nell’introduzione a una recente riedizione de I promessi sposi, afferma:
Il realismo manzoniano non è l’idea auerbachiana di realismo come racconto della serietà del quotidiano, idea che sarebbe diventata il cardine del realismo alla francese da Stendhal a Zola, ma è la mescolanza del sublime e del grottesco, dell’alto e del basso, del tragico e del comico, del savio e del pazzo che caratterizza la nostra vita.
Il romanziere si fa, storico della realtà indagando nella vita dell’uomo. Manzoni, ma anche Balzac e Fielding.
In età contemporanea la letteratura si fa poi voce di quelli che sono le difficoltà e i dissidi della classe borghese, i suoi affanni, la smania di arrivismo e la tendenza all’omologazione comportamentale. La coscienza di Zeno ne è un esempio, insieme a tutto ciò che questo modus vivendi comporta nella psiche dell’uomo, ravvisabile in quella “psicopatologia della vita quotidiana”, parafrasando un concetto di freudiana memoria, del suo stesso protagonista. Quest’ottica sembra richiamare per analogie un altro scrittore, Raymond Carver. Riprendendo l’edizione precedentemente citata de I promessi sposi il professor Francesco Paolo de Cristofaro considera un parallelo tra la descrizione di un comportamento di Renzo e di un personaggio di Carver, entrambi infastiditi dalle piccole cose quotidiane. Ma un ulteriore parallelo sembra ravvisabile anche tra lo scrittore americano e vari romanzieri contemporanei: Raymond Carver ha messo in luce dei lati oscuri della borghesia, quel tipo di borghesia che vede non “alla pace di Renzo” ma neanche alla “schiavitù del guadagno”, del vecchio Mastro Don Gesualdo; quella di Carver è una “borghesia” dagli intimi e quotidiani dissidi, affanni e cure che, nonostante una parvenza di equilibrio, è costretta a fronteggiare eventi inaspettati, che mettono in luce le debolezze e le relative inquietudini della quotidianità della vita familiare – si pensi a tal proposito ai racconti Mio e Una cosa piccola ma buona – trovandosi impreparata e perciò travolta da quegli inaspettati e tristi eventi della vita. Con Carver si è nel XX secolo, la borghesia è cambiata, ha perso molti dei suoi tratti caratteristici, è passata dalla scalata alla vetta. Che sia ancora possibile parlare di borghesia, in società come in letteratura, non è questione che è possibile affrontare ora. Ci limitiamo qui a notare il cambiamento riflesso fra il libro e ciò che c’è fuori.
Eh, signori, un romanzo è uno specchio che passa per una strada maestra. Ora riflette nei vostri occhi l’azzurro dei cieli, ora il fango dei pantani.
Stendhal, Il rosso e il nero.
Roberta Attanasio