Murakami, l’io e il Giappone che non c’è

117.

Quando finisco la sigaretta, dentro di me qualcosa è decisamente cambiato.

Una lenta nave per la Cina, [L’elefante scomparso e altri racconti, 1993]

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C’era una volta il Giappone. C’era una volta la letteratura giapponese, fatta di realtà oniriche, di tradizioni, di una riconoscibilità evidente nella sola ambientazione, nel solo suo essere Giappone. C’erano Mishima, Tanizaki, c’era Yoshimoto.

E poi c’è Murakami. E quel Giappone non c’è più.

Non è un segreto che Murakami sia stato influenzato da Raymond Carver, suo amico. E se lo fosse, basterebbe leggere L’elefante scomparso e altri racconti per accorgersene subito. Quello che è stato definito l’esistenzialismo di Carver è traslato in una maniera vicina al rapporto maestro-discepolo nei racconti di Murakami, seppur con diverse differenze. Ma su questo tratto ci sono fior fior di pagine. Uno degli elementi su cui è necessario qui soffermarsi, è la non-esistenza del suo Giappone.

Murakami non impone mai l’ambientazione. In qualche punto di ogni suo racconto appare evidente che si tratti di una città o provincia nipponica, ma questo è reso noto esclusivamente dalla presenza di nomi di quartieri, città, stazioni ferroviarie, monti, fiumi. Di fatto ci troviamo davanti a un Giappone americanizzato – o, per esser più leggeri, occidentalizzato – nella forma in cui è un Giappone nominale modellato su parametri del tutto inventati. Un po’, volendo, come la Carver country in cui sono ambientati i racconti del suo mentore. C’è una bella differenza, però: Murakami lascia delle briciole, lascia intendere che ogni Giappone mostrato in ogni suo racconto, è in realtà una versione parallela, alternativa, possibile, della stessa ambientazione inventata, passando dal realismo più pieno al fantastico. Non ci troviamo mai davvero nella stessa realtà, e nonostante questo è tutto collegato dalla figura autobiografica dell’io narrante, un io alternativamente maschio e femmina, giovane, trentenne, bambino, anziano, sposato, fidanzato, single. Persone diverse che sembrano però tutte varianti possibili di un singolo io.

Ecco allora che ne L’ultimo prato del pomeriggio, l’io narrante dice di essere un giovane che taglia prati per guadagnare qualcosa, e ne L’uccello-giraviti e le donne del martedì è un uomo sposato che confessa di aver tagliato i prati da giovane. Ma in quest’ultimo racconto si dice anche che il gatto del protagonista si chiama Watanabe Noboru, in “memoria” del fratello della moglie, che aveva lo stesso sguardo sornione. Nel racconto Affari di famiglia viene presentato un Watanabe Noboru, fidanzato della sorella del protagonista, con tratti simili.

In qualche modo, anche con segnali meno evidenti e di sicuro non probanti, si ha l’impressione che i microcosmi di questi racconti si sfiorino mostrando versioni alternative di sé. Un autobiografismo, quindi – dove la biografia è dell’autore implicito, l’io narrante, che non necessariamente corrisponde al Murakami in carne e ossa – di possibilità passate e future, che invariabilmente vanno a coincidere con le possibilità passate e future del lettore. Non che tutti cerchino gatti scomparsi, brucino granai o soffrano di lunghissime insonnie, ma è nello sguardo seguente, nel momento che segue l’accadimento, che qualcosa cambia, che l’io è un io diverso, mutato.

Non è un caso, dunque, che molti dei racconti presentino storie del passato, della giovinezza, dell’infanzia, anche solo di pochi anni prima, e così il tema quasi onnipresente della memoria. In un certo senso lo sdoppiamento delle realtà possibili non avviene solo nello spazio, ma anche nel tempo. Diversi io – diversi poiché posti in punti distanti di una linea temporale – si confrontano. Quello più vecchio rivive e analizza agli occhi dell’esperienza un evento passato, qualcosa che l’ha segnato o che di colpo – chissà perché – gli è tornato in mente.

Due sono quindi i legami della realtà murakamiana: possibilità parallele e tempo. Ma siamo lontani da Il giardino dei sentieri che si biforcano di borgesiana memoria, o dal calviniano Ti con zero. Non c’è legame fra le scelte, le possibilità, e il tempo. Se nei racconti citati la linea temporale si biforca nelle numerose possibilità che una scelta propone – così tante da poter tendere all’infinito, anche se non infinite di certo – ed è questa scelta che crea idealmente le diverse realtà, in Murakami è l’io il fulcro, non il tempo. Le storie sono connesse fra loro, indipendentemente, da tempo e realtà parallele. Per essere più chiari: nessuno genera l’altro, ma entrambi confluiscono in implicazioni delle storie. I ricordi generano incomprensioni fra due io, in una realtà dove Watanabe Noboru può essere una volta il marito di mia sorella, un’altra il fratello di mia moglie, e il mio amore per il tagliare i prati di un tempo oggi mi sembra assurdo, incomprensibile. Nella realtà di Murakami, l’io è chiuso in un nodo: è una combinazione precisa di spazio e tempo, fra le infinite possibilità riscontrabili.

Questa è la realtà di Murakami. O meglio, questa è una realtà. Perché forse è tutto costruito, inventato, una realtà fittizia creata per assecondare una possibilità. Come la storia che avrebbe raccontato Vedendo una ragazza perfetta al 100%, quando non riesce a parlarle incrociandola per strada. Le avrebbe raccontato di due ragazzi, perfetti al 100% l’uno per l’altra, che per un dramma del caso si erano ritrovati senza memoria, incapaci di ricordarsi l’uno dell’altro.

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Poi, in una bella mattina di aprile, lui stava camminando in una via laterale di Harajuku, da ovest a est, per fare colazione al bar, mentre lei percorreva la stessa strada da est a ovest per spedire una raccomandata. Si incrociarono a metà strada. Per un attimo un barlume dei vecchi ricordi illuminò i loro cuori.
«È la ragazza perfetta per me, al 100%», si disse lui.
«È il ragazzo perfetto per me, al 100%», si disse lei.
La luce dei loro ricordi però era troppo debole, le loro parole non erano chiare come quattordici anni prima. Si passarono accanto senza parlarsi, e scomparvero tra la folla in direzioni opposte.

Non pensa che sia una storia molto triste?

Vedendo una ragazza perfetta al 100%, [L’elefante scomparso e altri racconti, 1993]

Maurizio Vicedomini

Maurizio Vicedomini è capoeditor per la Marotta&Cafiero editori. Ha acquistato diritti di pubblicazione in tutto il mondo ed è pioniere nello sviluppo di nuove forme di impaginazione libraria in Italia. Ha fondato la rivista culturale Grado Zero, sulle cui pagine sono apparsi racconti di grandi autori italiani e internazionali. È autore di libri di narrativa e critica letteraria. Collabora con la Scugnizzeria, la prima libreria di Scampia.

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