Edgar Lee Masters e la voce della memoria

Pubblichiamo con piacere un contributo inedito esterno sulla Spoon River Anthology di Edgar Lee Masters, a opera di Tonino Cicala.

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Hominem pagina nostra sapit
(Marziale X – 4,7)

A distanza di un secolo dalla prima uscita sul Reedy’s Mirror, tra il 1914 e il 1915, la voce del passato, ancora oggi, ritorna più forte che mai e la sua evocazione riaffiora dalle storie narrate, dalle azioni e dai più intimi segreti degli abitanti di una eterotopica necropoli, considerata come un non-luogo, dove naturalmente esiste anche un non-tempo. Ecco allora che la Spoon River Anthology si presenta agli occhi del lettore non soltanto come semplice crestomazia di componimenti poetici, ma è l’affermazione di un microcosmo che rappresenta l’uomo senza alcun limite imposto dal cronotopo. La frase di Marziale è senza dubbio esplicativa e costituisce un indice analitico utile per accendere i riflettori sull’opera di Masters, di cui la forza del singolo e della sua esperienza rappresentano le basi più solide dell’intera raccolta. In quest’epos moderno, tutto americano, l’autore si presenta come un grande conoscitore del genere umano, dando vita a una raccolta complessa che pone la sua lente d’ingrandimento sull’uomo, sulla sua vita in generale. Ciò che ne consegue è una testimonianza inequivocabile che ci viene offerta direttamente dal defunto, che “si concede”, senza remore, all’intervista della modernità, si presta a chi vuol sapere, a chi vuol apprendere da lui, narrando le sue vicende senza reticenze perché, da morto, non ha più nulla da perdere. Dunque, prevale come elemento precipuo la memoria, supportata dall’esperienza e caratterizzata dal fallimento, quest’ultimo trait d’union di tutte le storie, vessillo inconfondibile che contraddistingue le vite dei protagonisti dell’Antologia.

A tal proposito, tutti gli individui di cui si parla nei componimenti sono dei falliti: il fallimento si ripercuote in amore, nel lavoro, nella vita in generale. Si tratta di gente comune, appartenente alle categorie che siamo abituati a vedere e a riconoscere ogni santo giorno; così ci ritroviamo di fronte il ricco, il povero, il bambino mai nato, il giornalista ladro, le prostitute, il marito adultero, il banchiere corrotto… Figure che sono caratterizzate dal fallimento, che traspare dalle loro azioni, dai loro vizi, dalle loro debolezze, dalle ambizioni errate, incetta di tratti distintivi che riconduce all’universalità della condizione umana e che fa di quest’opera una sua grande testimone.

244 epigrafi, 19 storie e 248 personaggi sbucano fuori dal paesino immaginario di Spoon River e compongono l’opera più importante dell’autore americano Edgar Lee Masters che offre al lettore di ogni tempo un’accozzaglia di tante vite diverse tra loro. Disparati i motivi che portano alla gestazione dell’opera. L’autore trascorse l’infanzia tra Petersburg  e Lewistown, captando dalla realtà le idee e gli spunti che gli valsero l’ispirazione per dare vita ai personaggi della sua Antologia e che probabilmente furono i volti che allora abitavano i due villaggi dell’Illinois. Bisogna sottolineare che un ulteriore contributo è tratto da un codice bizantino del X secolo, rinvenuto nel 1607 ad Heidelberg e noto come Antologia Palatina, che raccoglie una pantagruelica sfilza di epigrammi in lingua greca.

L’epigramma – che soltanto in seguito assume una natura multiforme aprendosi presto ad argomenti scommatici ed erotici – nelle sue prime attestazioni, si presenta sottoforma di epigrafe, con un carattere epidittico, tipico delle iscrizioni tombali. Secondo Laura Ingallinella, l’Antologia Palatina «è un preambolo classicista non fine a se stesso che offre un modello dinamico e poliedrico all’autore». A noi, invece, pare che tra le due raccolte non ci sia alcun legame e che i riferimenti siano esclusivamente formali. Nell’opera di Masters non sono presenti tramature dell’Antologia Palatina e più di un esempio evidente, se consideriamo già solo il parametro stilistico, può essere desunto dalla fissità degli epigrammi e dalla metrica dei componimenti bizantini in antitesi alla fluida diegesi narrativa e allo stile prosaico, tipicamente americano, di Masters, che lo stesso autore definisce come qualcosa che si presenta «meno del verso e più della prosa». Senza escludere l’aura psicologica e introspettiva che traspare dai “portavoci della vita”, la propria, e quindi dai protagonisti della Spoon River Anthology.

La storia della raccolta in Italia è assai singolare, d’altronde come le altre opere letterarie straniere la cui lettura fu proibita dal regime fascista. Pioniere dell’Antologia fu Cesare Pavese che la fece conoscere a una sua allieva, Fernanda Pivano, in risposta a una domanda della giovane traduttrice.

Ero una ragazzina quando vidi per la prima volta l’Antologia di Spoon River: me l’aveva portata Cesare Pavese, una mattina che gli avevo chiesto che differenza c’è tra la lettura americana e quella inglese. Si era tanto divertito alla mia domanda; si era passato la pipa dall’altra parte della bocca per nascondere un sorriso e non mi aveva risposto. Naturalmente c’ero rimasta malissimo; e quando mi diede i primi libri americani li guardai con grande sospetto.
( da un articolo pubblicato sul “Corriere d’Informazione”, il 20 luglio 1962).

Dunque, dalla traduzione fattane dalla Pivano nasce la prima edizione italiana che viene pubblicata da Einaudi il 9 marzo 1943. Allora, lo scalpore per quelle pagine non tarda a manifestarsi tanto che la stessa Pivano anni dopo, in un’intervista rilasciata a “La Storia Siamo noi”, noto programma condotto da Giovanni Minoli (e ormai, inspiegabilmente, fuori dai palinsesti Rai), dichiara:

Era superproibito quel libro in Italia. Parlava della pace, contro la guerra, contro il capitalismo, contro in generale tutta la carica del convenzionalismo. Era tutto quello che il governo non ci permetteva di pensare […], e mi hanno messo in prigione e sono molto contenta di averlo fatto.

Più tardi, l’opera quando non fu più considerata come un pugno nello stomaco, né fu più vista come una novità tornò a godere del riverbero dell’attenzione quando, nel 1971, Fabrizio De André decise di portare in sala registrazione le 9 tracce che andarono a formare il 33 giri Non al denaro non all’amore nè al cielo, uno dei migliori album della musica italiana, ispirato proprio all’opera di Edgar Lee Masters, diventata, nel frattempo, un classico della letteratura americana.

Tonino Cicala

Redazione

Grado Zero è una rivista culturale online, nata dall’incontro di menti giovani. Si occupa di cultura e contemporaneità, con particolare attenzione al mondo della letteratura e del cinema.

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