Osservare e scrivere la realtà. Gli atteggiamenti umani nella letteratura

Pierre-Auguste Renoir, Il ballo al Moulin de la Galette, olio su tela, 1876, Museo d’Orsay, Parigi

La comunicazione non avviene soltanto per uno scambio verbale; può, infatti, avvenire comunicazione anche attraverso atteggiamenti definiti tratti extralinguistici che si assumono, in maniera più o meno volontaria, durante l’incontro conversazionale. Questo tipo di fenomeni, oltre che nella vita quotidiana, è possibile riscontrarli anche nelle opere di letteratura, tanto in quelle dell’epoca contemporanea che di epoche passate, nelle quali nel rapporto tra i loro personaggi si palesano quelli che sono i fenomeni studiati dalla sociolinguistica.

Su questo fenomeno – per cui alla comunicazione verbale sottende contemporaneamente un altro tipo di comunicazione determinata da quelli che sono i rapporti tra gli interlocutori, i loro caratteri e i contesti in cui avviene l’incontro conversazionale – risulta chiarificante citare il nome del sociolinguista John Joseph Gumperz il quale, in un suo studio del 1977, Il sapere socioculturale nell’inferenza conversazionale, ha definito tale fenomeno “inferenza conversazionale”, intendendo quell’insieme di passaggi logici per i quali, in base alla situazione, avviene un tipo di comunicazione che va oltre lo scambio verbale, specificando quelle che sono le differenze tra il “significato dell’enunciato”, ossia l’effettivo significato di ciò che viene detto, e il “significato del parlante”, ossia l’intenzione del parlante di comunicare qualche cosa dal modo in cui egli si esprime verbalmente. Queste, infatti, le parole dello studioso:

L’inferenza conversazionale, allora, è qualcosa di più che un mero fatto di decodificazione della frase; è anche una questione di capacità di produrre una risposta appropriata […] . In altre parole, la conversazione assomiglia ad una collaborazione nella produzione di un copione, dove il contributo di ogni persona è condizionato da ciò che gli altri possono fare e da ciò che il pubblico è disposto ad ascoltare.
(J. J. Gumperz, Il sapere socioculturale nell’inferenza conversazionale, 1977).

Dante e Virgilio alla porta dell’Inferno, illustrazione di Gustave Doré per un’edizione del 1868 della Commedia di Dante Alighieri.

Esempi di tali fenomeni, che saranno poi teorizzati nel XX secolo, nei classici della nostra letteratura è possibile riscontrarli, ad esempio, già in opere come la Commedia di Dante Alighieri a riguardo, ad esempio del rapporto che il Dante pellegrino oltremondano instaura col suo duce Virgilio. Qui la comunicazione, oltre che attraverso lo scambio verbale, avviene persino senza l’ausilio della parola, ma soltanto per scambi di occhiate e atteggiamenti perfettamente orchestrati dal Dante poeta che permettono al Dante personaggio di intendere i consigli o gli stati d’animo del poeta latino. Altro esempio medievale in cui si può riscontrare tale forma di comunicazione – per così dire – senza parole, basata su atteggiamenti soprattutto del viso come sguardi o espressioni – si parla in tal senso di sistema cinesico – è il Decameron di Boccaccio: l’autore, tra i numerosi temi affrontati, descrive, forse in maniera spontanea, anche atteggiamenti che risultano essere universali per gli uomini di ogni tempo. E un esempio di questi può ritrovarsi all’interno del Proemio, nel momento in cui la brigata tutta si congiunge nella chiesa di Santa Maria Novella in una Firenze falcidiata dall’epidemia e gli occhi innamorati cercano e trovano quelli delle rispettive amanti esprimendo, in maniera silente, il timore umano di non potersi ricongiungere all’innamorata.

Per quanto riguarda esempi dei fenomeni teorizzati da Gumperz, è possibile richiamarsi, andando avanti nei secoli, ai Promessi sposi, in cui è possibile notare i diversi livelli di comunicazione che occorrono tra personaggi, soprattutto di classi sociali differenti e portatori di diverse ideologie che vengono a scontrarsi. Esempio del genere ce ne sarebbero molti all’interno dell’opera ma, per un’idea di ciò che si vuol rendere, è possibile ricordare il capitolo II nel quale Renzo, dopo aver chiesto inutilmente spiegazioni al curato circa il mancato matrimonio, cerca di cavare qualche informazione dalla chiacchierona Perpetua.

Renzo e Perpetua, illustrazione di Francesco Gonin per l’edizione quarantana de I promessi sposi di Alessandro Manzoni.

La scena, magistralmente orchestrata da Manzoni, quasi fosse il copione recitato dagli interlocutori di cui parlerà Gumperz nel secolo dopo, risulta leggibile a più livelli, tanti quanti sono quelli per cui avviene comunicazione tra i due: da un lato vi è Renzo che, per così dire, conduce a suo favore il discorso sfoderando la sua abilità oratoria; dall’altro vi è Perpetua che è indotta da Renzo a rivelare il motivo della ritrosia del curato. È tutto un gioco di allusioni e inviti alla confidenza, da parte di Renzo, e di massime e proverbi atti a rivelare l’irrivelabile con chiare parole, da parte di Perpetua. Ecco, quindi, i due piani della comunicazione, ciò che è detto e ciò che si ha intenzione di dire per la quale, per dirla con le parole di Gumperz, «il contributo di ogni persona è condizionato da ciò che gli altri possono fare e da ciò che il pubblico è disposto ad ascoltare», e in questa scena dei Promessi sposi il “pubblico”, nonché attore, risulta essere il personaggio di Renzo. Diversamente, ciò non accade con personaggi che condividono un certo status: tra Lucia e Renzo non vi sono conversazioni ambigue, cioè conversazioni in cui non sono verbalmente manifestate le loro intenzioni, in quanto il rapporto instaurato tra i promessi sposi fa sì che essi siano, l’un per l’altro, sullo stesso piano; cosa differente per quanto riguarda il rapporto instauratosi tra Perpetua e Renzo in quanto la prima si pone, forse in maniera un po’ superba, su un piano superiore rispetto al giovane per via del fatto che è a conoscenza di qualcosa a cui è soggetto Renzo, mentre questi si pone su un piano inferiore rispetto a Perpetua poiché bisognoso delle sue informazioni; ma, ordendo le direzioni della conversazione, giunge così su un piano superiore a quello della donna divenendo agens, e non subiectum, della conversazione, come invece, poco prima, era accaduto durante la discussione con don Abbondio.

Inoltre, anche nel XX secolo è possibile riscontrare questo fenomeno in opere come Il barone rampante di Italo Calvino, dove il protagonista carpisce, durante le conversazioni, le sfumature date a ogni parola pronunciata dalle persone che incontra, le amarezze, i sogni e i loro caratteri.

Un altro autore: lo statunitense David Foster Wallace in molti dei suoi racconti e romanzi brevi, delineando quelli che sono i rapporti tra le persone di varia natura, descrive, come nel racconto Brave persone, in maniera attenta i pensieri di uno dei due protagonisti, sotto il cui punto di vista è raccontata la vicenda, ma soprattutto gli atteggiamenti e i silenzi degli stessi che dicono ben più di tante parole.

Vincent van Gogh, I mangiatori di patate, olio su tela, 1885, Van Gogh Museum, Amsterdam.

Analizzando i pochi autori annoverati, ai quali sarebbero da aggiungersi tanti altri sia antichi che moderni, sembra emergere un dato comune a tutti, ossia il saper realisticamente descrivere la varietà della natura umana nei rapporti con il prossimo grazie a un’attenta e profonda osservazione della realtà. Tali grandi personalità della letteratura sono, quindi, prima che scrittori, acuti osservatori e pittori della realtà circostante dalla quale attingono inevitabilmente per meglio esprimere il loro pensiero.

Concludendo, si potrebbe quasi dire che la comunicazione che avviene tra personaggi di un’opera equivalga, così, a quell’intesa che nasce tra autore e lettore e che permette al primo di infondere il suo insegnamento o la sua sensibilità nel secondo.

Salvatore Di Marzo

Grado Zero è una rivista culturale online, nata dall’incontro di menti giovani. Si occupa di cultura e contemporaneità, con particolare attenzione al mondo della letteratura e del cinema.

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