Il poeta e i suoi altri letterari: Fernando Pessoa
L’uso di pseudonimi nella letteratura è un artificio che è possibile trovare in vari periodi storici: si pensi a Tommaso Campanella e al suo Settimontano Squilla, a Ugo Foscolo e al suo Didimo Chierico, oppure a Giuseppe Parini e al suo Ripano Eupilino, e volendo spingere la memoria ai tempi di Roma Antica, come ricorda Elio Sparziano, uno degli autori della Historia Augusta, il princeps Adriano affidò alcune sue poesie ai nomi di altri. Al di là delle motivazioni, sociali politiche o intime che siano, lo pseudonimo poetico prevale o convive con il nome vero.
Fernando Pessoa, autore del XX secolo sembra far questo, ma parlare di semplici pseudonimi pare non del tutto corretto: i suoi sono “eteronimi” distinti dal suo “ortonimo”, sfaccettature di una coscienza composita, quasi personalità formate da sole e distinte dalla sua propria. Lo stesso Pessoa in una lettera ad Adolfo Casais Monteiro spiega al riguardo:
Io vedo dinnanzi a me, nello spazio incolore ma reale del sogno, i volti, i gesti di Caeiro, Ricardo Reis e Álvaro de Campos. Ho dato a ciascuno un’età e una biografia. […] Come scrivo in nome di questi tre?… Caeiro per pura e inattesa ispirazione, senza sapere né prevedere cosa mi sarei messo a scrivere. Ricardo Reis, dopo un’astratta deliberazione, che immantinente si concretizza in un ode. Campos, quando sento un improvviso impulso di scrivere e non so cosa sia. (Il mio semieteronimo Bernardo Soares, […] appare ogni volta che mi sento stanco o insonnolito […] la sua prosa è un continuo vaneggiamento. È un semieteronimo, perché, sebbene la sua personalità non sia la mia, non è differente dalla mia, ma ne è una semplice mutilazione. Sono io senza il raziocinio e l’affettività
Ecco perché la definizione di semplici pseudonimi sembra debole per Pessoa. Antonio Tabucchi in un suo saggio dal titolo Un baule pieno di gente: Scritti su Fernando Pessoa, parla di patologia e insieme di terapia della solitudine. E pare non errato inserire questa visione pessoana degli eteronimi in un certo qual senso nel solco del concetto della frantumazione dell’Io e delle molteplici identità che va delineandosi nella letteratura del XX secolo.
Ne Il libro dell’inquietudine il semieteronimo di Pessoa, Soares, spiega come dentro di sé viva una pluralità di voci, una «misteriosa orchestra» che gli rende possibile conoscere se stesso «solo come una sinfonia». E in questo pare rivedersi molto, e molto da vicino, l’idea matteblanchiana di una psiche fatta a strati e ancora una frantumazione dell’unità del soggetto in favore di una molteplicità di pensieri e di sensazioni nel profondo dell’animo. Questo concetto della frantumazione dell’io, nel XX secolo si ritrova trattato con una, si potrebbe dire, sistematica analisi scientifica e di metodo da autori della letteratura italiana, Italo Svevo tra tutti, che pare mettere in luce gli aspetti della psicopatologia della vita quotidiana svelata da Freud. Ma il parallelo è tutto personale e per analogia. Pessoa non mira a svelare meccanismi inconsci, non mira a mettere in luce ciò che accade nell’uomo. Egli crea non solo dentro di sé questa pluralità di vite ma ne dà anche immaginarie fattezze fisiche e storie personali e sembra, così, che la frantumazione dell’io non riguardi soltanto concetti inconsci ma che “salga” anche al livello della consapevolezza fino a realizzarsi perfino nelle fisionomie e nei tratti umani più esteriori. Pessoa sembra mettere il lettore e se stesso di fronte al fatto che questa molteplicità di sentire la vita esiste e che l’unità di una persona, che per lo stesso autore è un concetto labile, sta solo nella forma esteriore dell’apparenza, dietro le maschere di un io singolo frammentato in molteplici individualità.
Roberta Attanasio