Sfruttare il tormentone è sicuramente uno dei
“Ecco perché”. Uno di questi noiosissimi fenomeni viene definito in gergo “clickbaiting”, ossia “acchiappaclick”. Consiste nello stuzzicare la curiosità insita nella maggior parte degli esseri umani tramite titoli che descrivano le notizie in modo parziale, lasciando intendere che ci sia quasi una sorpresa fra un effetto, descritto appunto nel titolo, e la causa scatenante, di cui si parla nell’articolo.
“La radiografia che ha imbarazzato i medici: ecco perché”
Tale tecnica viene utilizzata, chiaramente, per attirare pubblico verso il sito e migliorare gli introiti pubblicitari. Fin qui non ci sarebbe alcun problema: un articolista scrive e s’aspetta pur sempre un tornaconto.
Il problema sorge proprio nella curiosità spropositata che viene indotta dal lettore per notizie dalla qualità dubbia, che in grande maggioranza non riportano fonti oppure, addirittura, inventano statistiche e esperimenti citando siti la quale scientificità è tutt’altro che acclarata. Per questo motivo, nei mesi addietro, social come Facebook dichiararono di voler combattere il clickbaiting. Per avere un paragone, si potrebbe dire che il clickbaiting sta al web così come il cosiddetto “giornalismo giallo”, cioè sparare titoloni studiati su notizie insignificanti per aumentare le vendite della carta stampata, sta ai giornali.
Un termine molto in voga è “virale”. La parola, nata sul calare degli anni ’90, era strettamente legata a quella tipologia di marketing che prevedeva un passaparola esponenziale con un picco di interesse della durata di pochi giorni.
Al giorno d’oggi, è la parola stessa “virale” ad essere “virale”: svariate testate online la utilizzano nei titoli per indicare qualcosa di estremamente curioso e imperdibile, da guardare assolutamente, che in realtà ha poco in comune con lo spirito stesso di informazione che la testata propone.
Si commetterebbe però un errore nel pensare che il calo della qualità offerta sia una colpa esclusiva delle testate.
Infatti gli analisti non fanno altro che seguire la legge del mercato: se la domanda è alta, vuol dire che il prodotto interessa a qualcuno. Per cui, se dopo svariati anni di vita sui social i famosi virus “porno-invadibacheca” continuano a proliferare sotto i click imperterriti degli utenti, restano poche domande da porsi a riguardo.
La velocità con la quale le notizie possono schizzare intorno al mondo favorisce non solo l’informazione “positiva”, che racchiude in sé un messaggio, ma anche le “bufale”, ovvero notizie inventate di sana pianta, che facendo leva sull’ingenuità dell’utente propagandano informazioni non solo false ma talvolta anche pericolose, come nel caso di notizie riguardanti cure mediche alternative o sostitutive, tirando in mezzo lobby e proponendosi come paladini della giustizia e della verità.
“Nessuno lo dice”
“La verità che nessuno vi dirà”
Ce ne sono tante di bufale, ma ce n’è una recente che vorrebbe i “Minions”, ovvero le piccole creature del cinema d’animazione, come ispirate a esperimenti nazisti. Tutta la notizia è stata inventata di sana pianta da un utente Facebook spagnolo, che probabilmente neanche avrebbe mai immaginato una tale diffusione del suo post.
Per fortuna, c’è anche chi prova a contrastare le “bufale”: sono gli “hoax-busters” che, nel loro piccolo, provano sistematicamente a esporre prove dimostranti la falsità di un messaggio. Ma come in tutte le dure lotte, c’è solo da sedersi e decidere da che parte stare.
Fabio Romano
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