Edita in Italia da e/o e da Bompiani, la Aleksievič ha raccontato negli anni la storia del suo paese – dalla strage di Cernobyl alla guerra sovietica in Afghanistan fino alla condizione del post Unione Sovietica– vittima delle persecuzioni del dittatore Lukašenko, è stata per molti anni costretta a vivere in Francia e anche se ora è ritornata in Bielorussia non le è consentito pubblicare testi in patria.
Non è la prima volta che a un saggista, a uno scrittore di testi che potremmo definire non di finzione, viene assegnato il Nobel per la letteratura: era capitato per la prima volta nel 1902, quando Theodor Mommsen, uno storico tedesco, viene premiato dall’Accademia svedese per un suo capitale lavoro sulla storia di Roma. Passarono un po’ di anni, ed ecco premiato nel 1950 il filosofo e matematico Bertrand Russell, per i suoi scritti “nei quali egli si erge a campione degli ideali umanitari e della libertà di pensiero”. Stessa sorte di vittoria atipica capiterà nel 1953 a Wiston Churchill, con una motivazione molto simile: “per la sua padronanza delle descrizioni storiche e biografiche, nonché per la brillante oratoria in difesa ed esaltazione dei valori umani”.
Cosa dice invece la motivazione dell’onorificenza assegnata alla scrittrice bielorussa? “Per la sua opera polifonica, un monumento alla sofferenza e al coraggio del nostro tempo”. Partire da queste parole è davvero molto importante per non cadere nel pericolo di giudicare troppo frettolosamente la scelta di assegnare questo importantissimo riconoscimento a una scrittura dal vero.
Raccontare e tentare di far conoscere la storia che si sta vivendo è un intento perseguito dai romanzieri tanto dai saggisti, e nell’atto stesso di raccontare lo scrittore, sia che abbia deciso di dar al suo racconto la forma di una storia inesistente sia che – come nel nostro caso – decida di riportare la testimonianza diretta di quello che accade finisce, inevitabilmente, per fare i conti con un processo che è comune per entrambe le soluzioni; dare una forma scritta.
Scrivere un saggio così come scrivere un bel romanzo di finzione richiede la messa in moto di un meccanismo che si pone il problema di rendere quell’idea fruibile. Alla base di entrambe le produzioni c’è un personaggio che racconta; quindi, marcare una linea troppo netta tra ciò che è o meno definibile come letteratura in questo senso è una responsabilità che dovremmo non assumerci, tenendo conto delle infinite possibilità di esprimersi, che oggi più che mai subiscono evoluzioni e rivoluzioni.
Entra in gioco, in questa sorta di conflitto, la stessa distinzione che spesso si fa tra film e documentario; invenzione e ripresa dal vero. Ma allo stesso modo, come per saggio e romanzo, ciò che è fondamentale è la presenza di un occhio che guarda, elabora, e racconta. Raccontare, in qualsiasi modo venga fatto, è pur sempre raccontare. E di racconti del nostro tempo, che ci aiutino a capirlo, forse, ne abbiamo veramente bisogno.
Anna Giordano
Ps: Su IlPost e su Minima&Moralia sono apparsi alcuni passi di due dei libri della Aleksievič
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bellissimo articolo, grazie Anna!
grazie sempre a te dell'attenzione!