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Hawthorne. La demoniaca potenza della repressione

Nathaniel Hawthorne è uno dei più grandi scrittori americani dell’Ottocento.

Nathaniel Hawthorne.

Non tutti, però, conoscono un curioso aneddoto sul suo cognome. Egli, infatti, nasce il 4 luglio 1804 a Salem, nel Massachussets, e nasce Hathorne; in seguito, crescendo, modificherà il suo cognome con l’inserzione di quella piccola eppure significativa w. Come mai?

Dobbiamo fare un passo indietro nel tempo e portarci nel 1692, anno in cui avvenne il famoso processo delle streghe di Salem, uno degli ultimi nel New England. In quella occasione, al termine di terribili torture su 55 persone, 19 donne furono ufficialmente condannate a morte per stregoneria.

Uno dei giudici del processo era un antenato di Nathaniel, il giudice John Hathorne.

Fu proprio per questo che lo scrittore, che si definì sempre whig, “liberale”, decise di cambiare il suo cognome. Questo piccolo dettaglio la dice lunga sul carattere di Nathaniel. Quando, nel 1850, pubblicò il suo più famoso romanzo, La lettera scarlatta, egli dimostrò le sue convinzioni criticando sottilmente ma aspramente le ipocrisie della New England puritana del XVII secolo.

La protagonista del romanzo è Hester Prynne. Tramite un espediente letterario sicuramente topico, Hawthorne finge di aver trovato, attraverso un alter ego, lavorando alla dogana di Salem, alcune carte e alcuni documenti che raccontano la terribile storia di questa donna.

Qualcosa di molto simile a un macabro processo per stregoneria apre il racconto.

Salem. Hester Prynne è sul patibolo. Giovane e molto bella, ha dato alla luce una bambina, Pearl, nonostante il marito sia assente in città da molti anni. Accusata di adulterio, una colpa gravissima per la società di allora, viene esposta alla pubblica gogna. Nonostante le comari commentino acidamente che meriterebbe la pena di morte, Hester viene “solo” condannata a portare cucita sugli abiti una A scarlatta. A di adultera. Per tutta la vita.

“The Scarlet Letter”, Hugues Merle, 1861.

L’emarginazione, il disprezzo, gli insulti che Hester e la sua bambina dovranno sopportare non riusciranno a scioglierle la lingua: non cede, non confessa, nonostante le insistenze della comunità, chi è il padre di Pearl. Intanto, dedica la sua vita a un solitario percorso di redenzione, attraverso opere di carità, scontando la sua colpa per sé e per il suo amante.

Intanto, Pearl cresce di una bellezza elfica, stravagante e sconcertante, subendo insieme alla madre le angherie, gli sbeffeggi e gli insulti di bambini e adulti di Salem.

Emergono, dalla dimensione corale della comunità puritana, altri due personaggi. Innanzitutto il giovane e colto teologo reverendo Dimmsdale, venerato come un santo dagli abitanti della città; eppure, segretamente inquieto, rimorso da incubi che non lascia trasparire durante le commoventi prediche della domenica e profondamente turbato da alcune spinte incontrollabili del suo animo.

Poi uno straniero, da poco arrivato in città, il medico Roger Chillingworth, che ben presto si farà apprezzare dalla comunità costruendosi una reputazione di onesto e serio lavoratore, ma che in realtà nasconde un segreto e un’ossessione patologica.

Questi due personaggi avranno, nel corso dei sette anni in cui si svolge la storia, un ruolo fondamentale nella vita di Hester, o meglio nello snodarsi della trama. Il triangolo scabroso che si verrà a creare tra i tre – Pearl al centro, piccola dolce bimba folletto – contribuirà a far salire la tensione del lettore e ad acuire la sua curiosità.

Un romanzo sorprendente e angosciante, completamente calato nella realtà che racconta in ogni suo aspetto, dallo stile alla lingua alle ambientazioni.

Splendida è, in Hawthorne, la capacità di esprimere il disprezzo per la comunità puritana attraverso un ironia spesso corrosiva, temibile, che lo spinge a soffermarsi costantemente su ottuse convinzioni di ottusi personaggi.

Forze demoniache  saranno la motivazione che gli sciocchi, repressi abitanti di Salem daranno agli eventi strani che sconvolgeranno la città e alcuni dei suoi abitanti. Ciechi, davanti a quelli che altro non sono che gli impulsi più segreti e – allora, ma anche oggi – spesso più repressi dell’animo umano.

Beatrice Morra 

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