Caligari dopo quasi trent’anni dall’uscita di Amore Tossico torna a raccontare quel mondo disperato della borgata ostiense fatto di droga, sballo e miseria e lo fa con la lucidità e la bontà che lo contraddistinguono.
Cesare è sbruffone e incosciente, passa le notti fra pasticche e mignotte per dimenticarsi di una casa che gli crolla addosso tra una sorella morta di AIDS, una nipote malata dello stesso male e una madre sola e stanca; Vittorio è la spalla fidata, il compagno di bravate che cerca di contenere l’irruenza dell’amico ma che finisce sempre col farsi coinvolgere in quelle esperienze al limite.
Sono giovani allo sbando, senza punti di riferimenti, che la vita ha preso solo a bastonate senza riuscire però ad abbatterli; “La vita è dura e se non sei duro come la vita non ce la fai” dice Cesare dopo aver truffato l’uomo che gli aveva dato un lavoro.
A quel modo di vivere sembra non esserci alternativa: la cocaina per sballarsi, lo spaccio e i furti per tirare a campare, le scazzottate per sfogare la rabbia sembrano l’unica possibilità che resta ai due giovani; eppure a un certo punto qualcosa cambia e le loro vite non saranno più le stesse.
Cesare rimane così solo e senza nessuno che lo tiri fuori da quel caos in cui continua a tuffarsi ora con ancora più rabbia; Vittorio lo capisce e tenta di salvarlo mentre ancora non è sicuro di essersi messo lui stesso in salvo; ma per l’amico ormai non c’è molto da fare: da solo ha intrapreso la strada della dipendenza dall’eroina e da solo ne pagherà le conseguenze.
La morte di Cesare arriva dopo poco: l’astinenza, il bisogno di soldi per farsi, una rapina andata male.
Caligari taglia corto su questo momento, non c’è bisogno di dilungarsi nel mostrare lo strazio della fine e il dolore della perdita di quello che per Vittorio è un fratello e porta la scena avanti di un anno quando le cose sembrano ormai essersi sistemate per tutti e il ragazzo ha trovato con Linda e Tommasino la serenità che cercava da un pezzo.
Ma il lieto fine non è previsto per chi vive nelle borgate e ogni giorno lotta contro la miseria: Tommasino, stanco di non avere un soldo in tasca, va dai vecchi amici di Vittorio a chiedere di poter spacciare o partecipare a qualche furto per poter guadagnare qualcosa. È la condanna della tragedia greca, le colpe dei padri si riversano sui figli che per un motivo o per un altro finiranno però per fare in modo di meritarsi la sofferenza ereditata dai genitori.
Vittorio si è tirato fuori a fatica da quella vita e adesso il figliastro adolescente riprende quella strada percorsa solo a metà. Quando subito dopo allora il ragazzo si trova tra le braccia il figlio di Cesare, nato poco dopo la sua morte, lo spettatore non può fare a meno di vedere in quel neonato un altro essere vivente destinato alla sofferenza.
Nike Francesca del Quercio
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