Prima di entrare nel vivo della questione, una premessa è necessaria: se siete alla ricerca di una verità imprescindibile, di una rivelazione illuminante, è probabile che non la troverete qui. Questo va detto non per distogliervi dal proseguire la lettura, tutt’altro. Semmai, l’obiettivo è quello di coinvolgervi nella riflessione che segue, soprattutto voi, aficionados di fumetti, mutanti e giustizieri in calzamaglia, per cercare di capire insieme da quali ragioni profonde scaturisce la diversità di approcci alla vita e alle disavventure dei più famosi supereroi. Cioè, in sostanza, perché alcuni sono dotati di uno spiccato sense of humor, e altri no.
Non crediate che chi scrive non abbia fatto i compiti a casa: prima di arrivare a questo punto, c’è stata una lunga consultazione di forum, community, interviste e affini in cui si dibatteva dell’argomento. Quel che è emerso piuttosto chiaramente, è che lo spettatore medio è assolutamente conscio del fatto che due schiere di supereroi si contrappongono, da questo punto di vista (con tutte le discussioni del caso tra chi preferisce un atteggiamento scanzonato e chi, invece, li vorrebbe tutti un po’ più seri). Allo stesso modo in cui risulta chiaramente che, su questo terreno, si erge il muro che separa le due case editrici responsabili della creazione dei più grandi eroi del XX secolo, la DC e la Marvel.
Da dove nasce questa differenza di impostazione (e di spirito, si potrebbe dire)? Indubbiamente la si trova già nei fumetti, dove gli alleati Spider-Man, Iron Man, Ant-Man e compagnia bella compaiono con la loro buona dose di umorismo schietto e gradasso, trasferitosi poi pari pari nei loro alter ego in carne e ossa. Ma sarà per tutti così? A quanto pare, alcuni hanno seguito una trafila diversa.
Prendiamo Batman, per esempio. L’uomo pipistrello gode della più longeva e fortunata tradizione sullo schermo, che lo porta alla grande popolarità con il serial tv degli anni Sessanta. Dandogli un’occhiata, anche veloce, si rimane sorpresi a osservare Adam West e Burt Ward che affrontano il crimine in una Gotham City così kitsch, sgargiante e ridicolmente stilizzata, con tanto di scritte onomatopeiche ad accompagnare il corpo a corpo e bizzarri costumi (almeno per i gusti di oggi). Nulla di più lontano dalla versione di Christopher Nolan. I lungometraggi degli anni Ottanta-Novanta già muovono verso una linea più gotica e terrificante, pur lasciando la porta aperta alle incursioni del grottesco e del comico (specialmente nei due diretti da Joel Schumacher). È con Christian Bale, nel 2005, che Batman diventa l’eroe tenebroso, solitario, incarnazione dell’introspezione e della sofferenza interiore, marcando inesorabilmente un confine con quanto quel personaggio era stato in precedenza, e rendendo impossibile tornare indietro.
L’antitesi tra il sense of humor onnipresente di casa Marvel e la politica No Jokes della DC Comics diventa quasi un diktat
Facciamo un altro esempio. Pensiamo agli X-Men, che hanno trascorso un’avventura cinematografica a tinte più fosche di altri loro fratelli di matita, dalla prima alla seconda trilogia ancora in corso, tra crisi di coscienza e dilemmi morali vissuti sullo sfondo di uno scenario sempre più buio. Segno tangibile, quindi, che le pareti che separano i due universi non sono poi tanto spesse. Forse perché, allora, alcuni supereroi hanno già in sé, nella loro vicenda, nelle fibre del loro essere e persino nella loro immagine, tutto ciò che serve a conferire al film un’aura più nera, vedi Superman, Wolverine, Hulk o il Professor X. E Batman, l’eroe più dark dell’immaginario collettivo. Quando Christopher Nolan firmò la trilogia de Il cavaliere oscuro, ci consegnò una Bibbia in materia di supereroismo, mostrando al mondo come un altro racconto fosse possibile. Era la gravità del nuovo Batman, il peso di una maschera e di una vita votata al sacrificio e alla vendetta a dare spessore e pregnanza di significato al personaggio e alla vicenda. Non solo, per quanto l’assenza di levità si rifletteva anche nelle scenografie, nel design, negli ambienti della saga. La stessa oscurità che abbiamo ritrovato poi ne L’uomo d’acciaio del
Se allora fosse vero che un umorismo accentuato, una propensione alla risata, la battuta sempre pronta o la loro totale assenza sono soprattutto (o soltanto) il frutto di una precisa scelta degli sceneggiatori, sarebbe il caso di fare dietro front. Di ripensare al prodotto così come dovrebbe essere. Quel che mancava al Lanterna Verde della DC, per esempio, era proprio un pizzico di ironia, che permetteva al protagonista (e al pubblico) di prendersi e di prenderlo un po’ meno sul serio. Così come l’ultimo reboot sull’Uomo Ragno è stato guastato da un’eccessiva superficialità diffusa, che ha impedito di scavare più a fondo nell’intimo dei personaggi, buoni o cattivi, di indagarne gli stati d’animo e di indugiare pure su quei momenti in cui la lacrima è d’obbligo. Per il prossimo capitolo, Peter Parker potrebbe sacrificare un po’ del suo spirito, e diventare più compassato. Dopotutto, non c’è nulla di male nell’essere seri.
Andrea Vitale
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L'ha ribloggato su Gli Anni e Le Ore.
Grazie, è un contributo che ho apprezzato molto ! A ulteriore confutazione della tua tesi, si può vedere anche la semplice trasposizione seriale di Arrow e flash (prodotti dagli stessi autori), laddove nei confronti del primo - più "batmaneggiante"- si è scelto il tono serioso e grave, mentre nel secondo l'autoironia e l'humour è palmare. Bella domanda!