Medea, il mito eterno
L’affascinante e misteriosa figura di Medea, maga della Colchide, infernale protagonista della mitologia greca, si è nei secoli imposta nell’immaginario comune come l’emblema della follia amorosa e della malvagità fatta donna.
Molti hanno tentato di raccontarne la storia, tutti hanno sentito il paragone con il narratore più prestigioso, Euripide, che le diede straziante voce nell’omonima tragedia.
La storia narra di una fanciulla bellissima, figlia del re della Colchide, dedita alle arti magiche, che innamoratasi perdutamente di Giasone, valoroso Argonauta e re di Corinto, uccide brutalmente il fratello per poter fuggire col suo amante. Durante il viaggio verso la Grecia la donna mette al mondo due figli, mentre le sue mani si macchiano altre volte di sangue per aiutare l’uomo nelle grandi gesta che lo trasformano in un eroe.
Tornato in patria Giasone si rende conto che la storia con quella donna straniera, barbara, non è approvata dalla legge e così si prepara a congiungersi in matrimonio con Glauce, giovane ragazza greca, spiegando con estrema razionalità la situazione a Medea; è difficile però immaginare che una donna così perdutamente innamorata da aver sacrificato il fratello e aver compiuto altri crimini di sangue per quell’uomo possa accettare la situazione in maniera remissiva.
Forse anche Giasone lo sa, ma ciò che non sa è quello che ella è disposta a fare pur di vendicarsi: uccide innanzitutto e in maniera prevedibile la sventurata Glauce, priva di qualsiasi colpa, ma sa che questo dolore dato al marito è cosa piccola a confronto di quello che lei sta provando ed ecco che la mente le suggerisce il da farsi: uccidere i figli, privare Giasone della cosa a lui più cara, condannarlo a vivere per sempre con quel dolore nel cuore.
Euripide ce la mostra mentre è indecisa, si appella al suo cuore per desistere da questo folle proposito, sa che ella stessa ne soffrirà, ma il desiderio di vendetta vince su tutto, lei sarà spietata coi nemici e con gli amici benigna, per queste persone gloriosa è la vita.
Ma Medea non piange, non una volta il tragediografo ce la mostra in lacrime: è la grandezza del popolo greco, l’ostinazione e la determinazione con cui si va incontro al proprio destino per quanto terribile esso sia.
Questo fatto non poteva sfuggire ad un lettore attento e appassionato come Cesare Pavese che nei Dialoghi con Leucò (1947) fa parlare, non la maga ma l’uomo, Giasone, ormai anziano e lontano dalla crudeltà e la sfrontatezza della gioventù; con lui c’è Mélita, un’ingenua ninfa, che non vede il vecchio che ora è diventato ma solo l’eroe che fu e di cui nel tempio si parla a bassa voce.
Gli chiede di Medea, di quella maga spietata che forse è ancora viva e vaga infelice per la Grecia, a un certo punto gli domanda “Come ha potuto toccare i figli? Deve aver pianto molto…” ma Giasone le risponde lapidario: “Non l’ho mai vista piangere. Medea non piangeva.”,
Ma sia Euripide che Pavese erano uomini, grandi, grandissimi, ma pur sempre uomini e inconsciamente difensori di Giasone vigliacco, traditore, ingannatore agli occhi di ogni donna.
L’apologia di Medea arriva allora, senza sorpresa, da una donna, Christa Wolf, che nel suo romanzo Medea. Voci , del 1997, capovolge il mito presentandoci una donna mite, solare, ingenua; cresciuta nell’incontaminata Colchide e scaraventata in un mondo malvagio e menzognero fatto di segreti e intrighi di corte, usata come capro espiatorio solo perché straniera.
La Wolf ci racconta di Medea, moglie ripudiata e ferita che però per il bene dei figli rimane silenziosamente accanto al loro padre, e di Giasone, un eroe di carta, egoista e focalizzato solo sul suo ruolo di re, soggiogato da consiglieri di corte bugiardi e cospiratori.
La donna rimane, suo malgrado, coinvolta in una cospirazione contro il re e viene ingiustamente accusata sia del suicidio di Glauce che della morte dei figli, sacrificati in realtà in gran segreto agli déi per purificare Corinto colpita da un’epidemia.
Non quindi la carnefice ma la martire, non la donna demoniaca ma quella angelica, umana certo, ma comunque innocente.
Medea è rimasta nei secoli una figura, seppur umanissima nelle descrizioni, mitologica nell’essenza e proprio per questo non ha bisogno di essere capita o giustificata o perdonata o addirittura salvata dal mito che l’ha resa famosa e ciò che è certo è che questo personaggio vivrà in eterno avvolto dall’aura di sinistro fascino che il tempo non ha scalfito, ieri come oggi.
Nike Francesca Del Quercio