Cacao è un libriccino piccolo, poco più di cento pagine. Pubblicato nel 1933 dall’allora ventenne Jorge Amado, racconta la profonda lacerazione che spacca e attraversa il Brasile come un secondo Rio delle Amazzoni, triste e insanguinato.
Da un lato la sponda che accoglie le misere condizioni dei braccianti, malati, sfruttati, sottopagati quando non schiavizzati, costretti a vivere come animali in baracche sporche e soffocanti. Dall’altro, la sponda di lusso del coronel, proprietario della piantagione, della sua casa-grande e dei figli laureati, viziati e delicati.
La insuperabile lontananza delle due rive sviscera le tragedie e le ingiustizie del mondo sullo sfondo di una terra forte e triste. Il cielo caldo e umido del sud del Brasile, il calore assuefacente e le piogge terribili; una terra ribelle e selvaggia da assoggettare e dominare per arrivare a formare roças, ossia appezzamenti di terreno da poter coltivare; i gialli, brillanti frutti di cacao, che disseminano il paesaggio con la loro sacra aria di sfida.
Eravamo molti nell’immensità della roça. Le foglie secche delle piante di cacao tappezzavano la terra, dove i serpenti si riscaldavano al sole dopo le lunghe piogge di giugno.
Protagonista del racconto, fortemente autobiografico – Amado ebbe infatti a che fare, per un breve periodo, proprio con le condizioni disagiate dei braccianti delle fazendas – è un giovane sergipano, José, che si trasferisce a Ilhéus in cerca di lavoro. Dopo qualche giorno di miseria e fame per le strade della capitale, decide di piegarsi alla dura legge del più forte e di cominciare a lavorare come bracciante nella fazenda del coronel Mané Frajelo, soprannome che può essere pressapoco tradotto come “Manuel Flagello”.
I frutti gialli pendevano dagli alberi come lampade antiche. Meraviglioso intreccio di colori che faceva tutto bello e irreale, meno il nostro lavoro sfibrante. Alle sette di mattina eravamo già a tirar giù i cocchi di cacao, dopo aver affilato i nostri coltellacci, sulla porta dello spaccio. Alle cinque di mattina il goccio di pinga e il piatto di fagioli ci davano forza per il lavoro del giorno.
I personaggi con cui José ha a che fare nella fazenda recano tutti storie simili: il nero, misterioso Honorio, assassino dalla coscienza limpida; l’innamorato, illuso idealista Colodino; il mulatto, magro e nervoso João Grilo; sono queste solo alcune delle povere anime incontrate da José.
Altrettanto lunga e triste la lista delle donne violate dai superbi padroni e destinate alla prostituzione, delle contadine disgraziate e distrutte dalla vita, delle bambine svelte e belle destinate a sfiorire presto.
Donne diverse dalle vite diverse sono Dona Arlinda, la grassa e stupida moglie del coronel, ingioiellata e vanesia, e sua figlia, Mária. Bionda e bellissima, ella non riesce nemmeno ad avvertire il peso delle ingiustizie commesse da suo padre, poiché, nella sua bolla d’oro di lusso e seta, è da sempre completamente inserita nell’ottica sfruttatrice.
Il massacrato popolo brasiliano, dipinto dal tratto deciso, schietto di Amado, riesce nel suo disincanto a costruire un silenzioso legame di solidarietà che, prima che ideologico, sociale o politico, ha tutta la dolcezza e la potenza dell’umano.
Sembrerebbe assurdo, eppure un collante tra l’universo orribile dei braccianti e quello terribile del coronel c’è. Ed è proprio il viscoso, appiccicaticcio miele di cacao.
Impassibili, i gialli frutti di questo re silenzioso delle fazendas sono amati e odiati sia dai braccianti che dai proprietari; al di là di lotte di classe in germe e in sviluppo, di ingiustizie e differenze, di torti o ragioni, di lusso o miseria, nessuno può niente contro la taciturna volontà della natura.
Nel sud di Bahia, cacao è l’unico nome che suona bene.
È il cacao a dettare la sua legge, sopra gli uomini forti e sopra quelli deboli. Se dipende da lui la sopravvivenza dei braccianti, sicuramente ne dipende anche la vita dei proprietari. Essi sono allora, paradossalmente, vicini, nel dover accettare la sua sacralità.
Amato, il bellissimo, brillante, profumato cacao.
Odiato, il ribelle, restio, fiero cacao.
Beatrice Morra
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L'ha ribloggato su Translature.
Grazie per il suggerimento! Vedo di farmelo procurare in lingua originale :-)
serenità :-)claudine