Compalit2015: Certi romanzi
Che il riso sia una potente arma è cosa nota, e se una risata può fare da pala, nel seppellire vecchie abitudini, sicuramente può funzionare anche da lama quando si vuole creare uno squarcio nella stolida consistenza del reale.
Gli otto relatori che si sono susseguiti nel pomeriggio della prima giornata del Compalit hanno messo in mostra le mille sfaccettature di quello che non è solo una manifestazione di gioia umana, ma un vero e proprio strumento capace di mettere in crisi modelli e coscienze.
Riso, dunque, come coltellino multiuso a disposizione del romanziere che può svelare schemi narrativi e mettere in crisi modelli precedenti attraverso la parodia come fa Jane Austen in alcuni romanzi in cui la riflessione metaletteraria sul romanzo gotico e sentimentale può rappresentare una importante chiave di lettura per la comprensione dei suoi romanzi [1]; ma la parodia può diventare anche strumento per fare satira della società, può scollegarsi da ogni tipo di riflessione storico-letteraria e trasformare il sovraumano itinerario dantesco in un tragicomico viaggio di un Dante messicano e del suo asino Virgilio tra “l’inferno” del Messico e il “paradiso” degli Stati Uniti[2] (Edoardo Viaña, El corrido de Dante).
Ridere vuol dire anche adottare uno sguardo eccentrico e quanto il concetto di umorismo sia importante per la letteratura europea e italiana lo dimostrano le riflessioni di Pirandello, di Dossi, capaci attraverso l’umorismo di rappresentare le dissonanze e i contrasti del reale; qui la deformazione ottica si oppone ad un certo tipo di realismo, si vuole mettere il mostra il lato nascosto delle cose, guardare con occhi capaci di smontare la compattezza del reale, svelare il lato ridicolo delle illusioni[3].
C’è qualcosa di inquietante, dunque, nel riso, qualcosa di spaventoso, terribile, perturbante, capace , come prova a fare Elias Canetti, di scuotere e strapazzare il lettore mettendo in mostra le maschere grottesche che ogni giorno indossiamo nel nostro vivere sociale ingabbiati in gesti e pensieri meccanici, incapaci di comunicare come monadi senza porte né finestre[4]. Lo straniamento grottesco, la parodia, allora diventano strumenti capaci di indagare anche la contemporaneità, le effimere illusioni del nostro mondo piccolo borghese[5] come già Balzac aveva intuito nei suoi esercizi di scrittura caricaturale per alcuni giornali satirici illustrati[6], La Silhouette e La Caricature, dove l’immagine, passibile di molteplici interpretazioni, funge da spunto per la scrittura creativa; Balzac è uno dei primi scrittori a servirsi delle convenzioni della caricatura per fini letterari facendone uno strumento utile e innovativo per studiare il mondo, i costumi della sua società.
Per concludere, è interessante notare come nel passaggio da un medium artistico all’altro il riso può mantenere la sua forza originaria come quando Bernstein mette in musica il Candido di Voltaire[7] o tradire e stravolgerne il senso come nei riadattamenti cinematografici di Lolita dove l’ironia, la manipolazione dissacrante e l’intertestualità vengono attenuate per non creare shock nel pubblico, o travisate per solleticare gli appetiti voyeuristici dello spettatore[8].
Lorenzo Di Paola
[1] Claudia Esposito: “ Parodia e istanze metanarrative in Jane Austen”.
[2] Nicola Bottiglieri: “L’asino che vola”
[3] Roberta Colombi: “Lenti, occhiali. Lo sguardo dell’umorista: corrispondenze europee”.
[4] Jelena Reinhardt:“Le maschere grottesche di Elias Canetti: monadi senza porte né finestre”.
[5] Valentina Sturli: “Imprecare, provocare, predicare:parodia e critica sociale nell’opera di Houellebecq”
[6] Michela Lo Feudo: “Balzac à la charge: scrittura giornalistica e teoria della caricatura ai margini della Comédie humaine”.
[7] Maria Silvia Assante: Don’t let me laugh o dell’ironia in Voltaire, Sciascia e Bernstein
[8] Andrea Chiurato :“Ridere di Lolita, ridere con Lolita”