Uno dei panel delle prime sessioni parallele – nel pomeriggio di Mercoledì 16 – riguardava le letterature asiatiche, sempre all’interno delle macroaree tematiche di umorismo, satira e parodia a cui il Compalit è stato votato quest’anno.
La conferenza ha visto le relazioni di cinque studiosi, fra testi e umorismo di Giappone, Cina e Russia.
Per l’area cinese, Serena Fusco e Giulia Rampolla hanno affrontato entrambe la narrativa. Nella prima relazione, in riferimento alla narrativa etnica americana, con i romanzi Griever: an american Monkey King in China di Gerald Vizenor – autore nativo americano – e Tripmaster Monkey: his fake book, di Maxine Hong Kingston, autrice cinese-americana. Entrambi questi romanzi fanno riferimento, in particolar modo nel richiamo alla scimmia, a uno dei grandi classici della letteratura cinese, il Xijouji, noto da noi come il Viaggio in occidente.
Questo testo del sedicesimo secolo coniugava già al suo interno umorismo e satira. Elementi che saranno ripresi nei romanzi come caratteristiche di grande rilievo. Nel libro di Kingston, ad esempio, l’intero umorismo ruoterà intorno alla possibilità di formare una comunità, e la parodia si configurerà precisamente come un’appropriazione di contenuti in forma ironica.
Nella relazione di Giulia Rampolla, si è affrontata la parodia come genere moderno, facendo particolare riferimento a Ma Yuan, considerato il primo parodista della narrativa cinese moderna. Importanza non di poco conto, dal momento che prima dell’epoca moderna – cioè prima del 1919 – la prosa era considerata di scarso valore. Ma Yuan è stato pioniere di quell’avanguardia letteraria sperimentale che sorgerà nella metà degli anni ottanta. I suoi racconti sono una decostruzione della letteratura in epoca maoista, che prevedeva gente comune come protagonisti nell’atto di compiere gesta eroiche nel supportare la rivoluzione.
La relazione di Eugenio Barbieri su Tawada Yoko – scrittrice giapponese che vive in Germania – ha ripreso in un certo senso quell’incontro culturale fra occidente e oriente che si era aperto con Griever e Tripmaster Monkey. L’autrice è infatti immersa in due culture, e l’adozione di una seconda lingua di scrittura – il tedesco – ne è conferma. Nella sua raccolta di prose, Talisman, il centro nevralgico è l’osservazione e l’incomprensione di una cultura in cui si è immersi ma che ancora si guarda dall’esterno. Nel racconto eponimo, il talismano del titolo è un orecchino, una stranezza al limite dell’incomprensibile per l’esterno, la normalità per gli altri. La comicità di Tawada Yoko sta proprio nella parzialità dello sguardo straniero, laddove la normalità non è altro che un sistema costituito da abitudini, esperienze e cultura.
Ancora sul Giappone la relazione di Caterina Mazza, e in particolare sull’idea di Giappone che filtra tramite la letteratura, e che va a generare un’idea spesso distorta da ciò che è in realtà. Nel romanzo di Dany Laferrière, Sono uno scrittore giapponese, ad esempio, il protagonista propone l’idea di un romanzo – dal titolo eponimo – e questo ha un successo enorme sebbene non ne sia stata scritta una parola. Nell’idea parodica di queste opere, il Giappone viene pensato come un sistema culturale, mitico, o addirittura inesistente e creato dai cinesi.
Infine, la relazione di Enza Dammiano si è concentrata sull’anekdot, ovvero l’aneddoto in Russia, una forma di narrazione orale breve e scherzosa. Questo tipo di satira rappresentava il modo privilegiato per parlare delle brutture sociali e politiche, e non è un caso che fiorì al suo massimo proprio nel ventesimo secolo e nei suoi momenti peggiori. Si trattava, in un certo senso, di uno strumento di forte coesione: raccontare aneddoti comporta il “riso totalitario”, ovvero il riso che deriva dall’inserimento del singolo nell’immaginario globale.
Maurizio Vicedomini
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