Categorie: Cultura

La bambina che giocava alla guerra

Amélie Nothomb è una scrittrice controversa e per alcuni tratti oscura, così come la sua personalità segnata da un profondo senso di non-appartenenza e di straniamento rispetto ad un luogo da chiamare “patria” dovuto principalmente ai continui trasferimenti da una parte all’altra del mondo che affrontò fino all’adolescenza a causa del lavoro del padre, diplomatico belga; Giappone, Cina, New York, Bangladesh sono i paesi in cui visse prima di arrivare, all’età di 17 anni, in Europa.

Dopo vicende alterne e non sempre felici che segnarono la vita lavorativa, decise nel 1992 di dedicarsi totalmente alla scrittura imponendosi quattro ore al giorno di lavoro e la pubblicazione di almeno un libro all’anno. Programma che riuscì con straordinaria forza di volontà a rispettare.

Una delle sue prime e più famose opere è sicuramente Sabotaggio d’amore, del 1993, un romanzo che ha molto dell’autobiografia a partire dalle similitudini tra le vita dell’autrice e quella della protagonista (di cui non viene mai fatto il nome) una bambina di 7 anni nata in Giappone e figlia di diplomatici belga, costretta a trasferirsi con la famiglia in un ghetto della Pechino del regime comunista, San Li Tun (luogo dove la Nothomb visse realmente durante l’infanzia), dove vivono i diplomatici di tutto il mondo giunti in Cina alla ricerca di notizie circa la politica segreta del paese.

Nel piccolo quartiere i bambini, che godono della più totale libertà, decidono che la Seconda Guerra Mondiale era stata conclusa in maniera troppo frettolosa e lasciando molte questioni irrisolte, spettava ora a loro riaprire il conflitto e dargli la giusta fine, per questo motive tutte le nazioni si alleano tra loro contro un unico nemico, la squadra dei bambini della Germania dell’Est. La guerra può finalmente ricominciare!

Quello che segue è un surreale e serissimo racconto di battaglie a colpi di pietre e pugni, di punizioni corporali e torture con vomito e pipì e di minestre in polvere usate come placebo per dare coraggio ai fifoni.

La Nothomb riesce a creare un’immagine ossimorica e potente ovvero quella del candore della guerra: i piccoli soldati combattono guidati da un innato senso di giustizia e di consapevolezza che certe cose, per quanto deprecabili, vanno fatte e che, se le cose dovessero andare male, almeno avranno guadagnato la gloria e l’onore.

Nella città dei ventilatori, come la chiama la piccola narratrice notando inconsciamente l’arretratezza della Cina comunista degli anni Settanta, gli equilibri cambiano quando giunge Elena, bellissima e altezzosa bambina italiana di 6 anni, che fa perdere completamente la testa alla protagonista che per lei compirà il sabotaggio d’amore del titolo.

Elena, il cui nome come viene fatto notare nel libro richiama l’altrettanto bella principessa troiana per cui venne distrutta una città e scritto un poema epico, è glaciale, distaccata, irriverente; la protagonista tenta in tutti i modi di attirarne l’attenzione ma ciò che riceve sono solo umiliazioni a cui non riesce a sottrarsi perché rappresentano l’unico momento di incontro con l’amata.

Con sofferenza però un giorno capisce, aiutata dalla madre, che l’unico modo per penetrare in quel cuore crudele è essere a sua volte cattiva, fredda e distaccata.

Le toglie allora di colpo tutte le attenzioni e le carinerie che le aveva riservato fino a quel momento, non la cerca più, non la insegue più e man mano nota un cambiamento nello sguardo dell’amata: ora che le è venuta a mancare la certezza incrollabile dell’amore della sua spasimante, Elena soffre, l’avvicina cercando di riaccendere il vecchio ardore ma ne riceve in cambio solo distaccate risposte a monosillabi.

Solo il lettore sa quale tormento si nasconda nel cuore della protagonista, quanto l’unica cosa che vuole è urlare a pieni polmoni i suoi sentimenti e consolare Elena del fatto che il suo amore non è mai svanito, ma l’amore così come la guerra a 7 anni è una questione da affrontare con la massima determinazione e perciò non cede.

Nel frattempo i genitori impongono ai piccoli combattenti un armistizio perché di quella guerra ne hanno abbastanza, i bambini a malincuore accettano e l’inverno li vede troppo occupati a spalare la neve per protestare contro questa decisione.

Di lì a poco tutto va a rotoli: i bambini iniziano una guerra contro i nigeriani che però rispondono con armi vere macchiando irrevocabilmente il candore di quella piccola guerra; mentre Elena in lacrime chiede alla protagonista la verità sui suoi sentimenti e la bambina col cuore colmo di gioia le ribadisce tutto il suo incondizionato amore ed in quel momento, guardando il ghigno che appare sul volto dell’amata, capisce di averla persa o meglio di non averla mai avuta.

La Nothomb usa i bambini per spiegare la realtà dei grandi, gli inganni della vita, le manipolazioni e le delusioni, e lo fa con una scrittura asciutta e precisa, che sa dare peso e valore alle parole; il fatto che la narratrice abbia 7 anni inoltre le permette di mostrare i paradossi che dominano le relazioni umane dei grandi.

Il finale ci mostra la protagonista molti anni dopo, pensa a quella bambina che aveva amato e a quanto quella storia l’aveva cambiata insegnandole come farsi amare senza darsi, come in pratica essere lei stessa una Elena.

Nike Francesca Del Quercio

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Grado Zero è una rivista culturale online, nata dall’incontro di menti giovani. Si occupa di cultura e contemporaneità, con particolare attenzione al mondo della letteratura e del cinema.

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