Mariti, mogli, lesbiche e neri: diversità di genere made in USA negli anni ’50
Harge e Carol sono una coppia della middle class benestante nell’America degli anni Cinquanta. Insieme hanno una bambina di pochi anni, lui viaggia per affari e lei indossa abiti alla moda con la grazia e lo charme che solo la vera eleganza concede. Ma Harge e Carol non sono due sposini felici, nonostante i tentativi di lui di lasciarsi alle spalle la scomoda relazione amorosa di lei, e l’arrivo di Therese non è responsabile di una situazione che s’era ormai già guastata.
Carol Aird incontra Therese Belivet nei grandi magazzini dove quest’ultima lavora come commessa, e un paio di guanti dimenticato distrattamente sul bancone fornirà l’occasione per il secondo incontro, a cui seguirà un terzo, poi un quarto, e così via.
Carol è anche il nome del film del 2015 diretto da Todd Haynes e tratto dal romanzo della scrittrice Patricia Highsmith, noto anche come The Price of Salt. Siamo nel 1952, anno in cui viene collocata l’azione e il testo stesso viene dato alle stampe, provando a ribaltare uno dei luoghi comuni del mondo lgbt visto con gli occhi di chi ne sa ben poco, quello secondo il quale in una coppia di lesbiche, una delle due debba assumere, quasi necessariamente, sembianze e movenze mascoline; per di più, la storia inventata dalla Highsmith suggerisce la possibilità di un lieto fine, che è molto più di quanto gli omosessuali potessero realmente sperare negli Stati Uniti del tempo.
Chi abbia visto la seconda stagione di American Horror Story, forse ricorderà della ragione per cui la giornalista Lana Winters viene rinchiusa nell’ospedale psichiatrico di Briarcliff. Certo, si tratta di un pretesto per allontanarla dalle sue indagini, ma è pur sempre un pretesto legale per la legge dello Stato e per l’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità che soltanto nel 1990 avrebbe depennato l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali. Lana viene sottoposta ad uno dei trattamenti più diffusi nella “cura” dell’omosessualità negli anni Cinquanta e Sessanta: osservare cioè delle diapositive mostranti donne nude, mentre le viene indotto uno stimolo negativo che provochi in lei una sensazione di repulsione, pratica nota come terapia dell’avversione.
Quando Harge minaccia Carol di toglierle l’affidamento della bambina se non avesse rinunciato alla sua condotta immorale, lei si chiede, davanti al marito e in presenza degli avvocati, in che modo potrà giovare a se stessa e alla figlia vivendo contro la sua natura. È la medesima risolutezza, il medesimo coraggio che pochi anni fa, in una pellicola del 2002, Todd Haynes aveva dato a Julianne Moore in Lontano dal paradiso, in quella che è un’altra storia di diversità e di discriminazione, non soltanto legata alla sessualità.
Quando la moglie Cathy lo sorprende in inequivocabili atteggiamenti con un altro uomo, Frank se ne vergogna, ricorre a un consulto psichiatrico, e cerca di reprimere le sue pulsioni prima di accettare finalmente le cose per quello che sono. Allo stesso modo in cui Cathy cede alla passione per un giardiniere di colore. Sullo sfondo, l’assillo incalzante del vociare del vicinato, degli amici, della società che non approva la di lui omosessualità e il di lei amore per un negro socialmente inferiore.
Da questo punto di vista, le leggi morali e sociali di un’America che di lì a poco avrebbe iniziato la sua battaglia per il riconoscimento dei diritti dei gay, si fanno sentire più presenti, più impietose. Carol è invece un film più intimista, dove poco del mondo circostante si intromette nella relazione tra le due donne, eccezion fatta per le incursioni di un marito che non accetta di essere stato lasciato. Poco si sente il legame con la Storia vera, e le sue leggi discriminatorie, che peraltro entrano nel film soltanto quando vengono impugnate da un coniuge testardo, più che indignato.
È qui che sta un filo che unisce Carol al precedente Lontano dal paradiso, nella reazione che la scoperta dell’omosessualità del partner genera nell’altro: Harge rivuole la moglie accanto a sé, così come Cathy non ha in mente di lasciare suo marito, quasi come se dopo la rabbia, lo stupore, il dolore, non restasse altro che l’amore di prima. Mentre l’ambiente in cui vivono li giudica (o li giudicherebbe) immorali e devianti, Carol e Frank hanno ancora l’affetto delle persone che li hanno sposati, per quanto alla fine decidano di guardare la realtà per quella che è.
Una curiosa coincidenza: nello stesso anno in cui recitava in Lontano dal paradiso, Julianne Moore vestiva i panni, in The Hours, di una donna infelice, insoddisfatta della propria vita, e che in un attimo di debolezza bacia teneramente una vicina di casa sulle labbra. Non sappiamo con precisione se si sia trattato di un’indole omosessuale che viene a galla, o di un momento e basta. Sappiamo però che l’amica subito dopo si comporta come se nulla fosse successo, e Julianne Moore continua ad essere infelice come prima. L’anno è il 1951, e nella vita vera, una persona omosessuale può decidere di uscire alla luce del sole, consapevole di avere poche chance di vivere una felicità completa, o fare finta di niente.
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L’ha ribloggato su Gli Anni e Le Ore.