Oltre i segreti di Twin Peaks: Il mare amorfo dell’onirico musicale
In pochi casi, come quello che intendo descrivervi, un’artista riesce a invadere in maniera tanto profonda e silenziosa una serie tv a tratti complicata come I segreti di Twin Peaks: grazie a una forte allusività teatrale che è comunque perfettamente calata nel mix comic-drama-noir della sceneggiatura. Julee Cruise costruisce una finzione scenica di tutto rispetto, in bilico tra l’oscurità languida e sensuale dell’onirico, e un abbandono caldo e spontaneo al mondo naturale. Sorretta dalla fortunata coppia di amici oltre che di co-autori, David Lynch e Angelo Badalamenti, la cantante dream-pop fa il suo vero debutto musicale sul grande schermo nel 1989 con l’album Floating into the night, incantando il pubblico della celebre serie televisiva.
La criptica cittadina di Twin Peaks pullula di presenze umane dietro la cui calma e appartata esistenza si nasconde una complessità disarmante che sfiora, in alcuni casi, picchi di comicità straniante. Le assopite peculiarità di ciascuna di esse vengono riportate alla luce da un evento scioccante: l’assassinio di una bellissima e rispettabile adolescente. Da quel momento viene distrutto ogni quotidiano equilibrio e riportata a galla, pian piano, la verità che dorme. Così, mentre quasi dal principio la trama si dispiega dietro l’interrogativo lacerante: Chi ha ucciso Laura Palmer?, Julee opera un’ulteriore processo di isolamento dei telespettatori dal reale, trasportandoli in un universo bizzarro e misterioso. Il potere ipnotizzante della sua voce, guida in un mare di note amorfo e a tratti inquietante.
Che Lynch ami le atmosfere surreali e rarefatte è un dato certo e confermato da una carriera cinematografica piuttosto costante. Non colpisce quindi l’innegabile e perfettamente riuscita amalgama tra le attese della serie e la componente visionaria di questo album. Non è un caso nemmeno che trenta dei sessanta minuti di ogni episodio siano percorsi dai brani estratti, oltre che da altrettanti pezzi dichiaratamente noir. In alcune scene sono gli stessi personaggi a canticchiare e interpretare in maniera quasi caricaturale le tracce scritte da Badalamenti. A regista e co-produttore va riconosciuto soprattutto il merito di aver dato un volto alla voce esterna che accompagna le oscure vicende, quasi a volere ridare finalmente un’identità propria alle musiche in sottofondo. Inaspettatamente, senza che però venga distrutto o minimamente lacerato il filo che unisce le due dimensioni sensoriali della vista e dell’udito, assistiamo all’apparire di Julee sul palco della Roadhouse, bar fittizio dell’altrettanto fittizia cittadina situata tra gli Stati Uniti e il Canada.
Nel locale dalle pareti rosse si svolge la celebre scena: la cantante, vestita in pendant con lo spazio che la circonda e l’avvolge, interpreta The World Spins, pezzo preferito dal compositore italiano per sua stessa ammissione. Di fronte all’esibizione della Cruise sono gli stessi personaggi a rimanere esterrefatti, bloccati e sospesi tra le sognanti note, prigionieri di una stregoneria musicale. La stessa interprete confesserà mesi dopo come quell’esperienza abbia totalmente cambiato il suo modo di cantare: chiudere gli occhi e lasciare che ogni nota invada il cervello fino a trasportarlo in una dimensione altra diviene ben presto una consuetudine necessaria.
Per quanto alla nota serie televisiva vadano gran parte dei meriti per aver generato e pubblicizzato Floating into the night; esso non è quindi da annoverare unicamente nel già fitto e alquanto bistrattato panorama delle colonne sonore, ma considerato nella sua dignità di prodotto completo e innovativo, capace di riprodurre tutti gli stati percettivi del sogno. La carrellata di undici titoli, escludendo la dodicesima traccia perché riproduzione acustica di Falling, richiama alla memoria impressioni ed espressioni ridondanti, comunemente utilizzate dall’individuo sveglio per definire la passata esperienza onirica. Solo osservando la copertina dell’album, o rivisitando la già citata Falling, come si può non ripensare alla familiare sensazione di caduta nel vuoto?
Movimenti galleggianti, incubi, ricordi di una natura quasi carminia, animali dalla dubbia materialità fisica, e altre strambe spinte inconsce, costruiscono testi interpretati tanto mirabilmente. Attratti dalla potenza evocativa di quest’album, ci si fa spazio lungo itinerari cinematografici bui, alla ricerca di un profondo segreto; si aprono porte sui vizi e le verità disarmanti celate dietro un’apparentemente tranquilla realtà. Resta forte però nel finale di questo surreale teatro sul mondo una grande lezione: più ci si spinge verso il basso, verso il centro, più si rischia di rimanere intrappolati nella gabbia di quegli stessi oscuri desideri, bloccati tra le trame di una dimensione estraniante. Attenzione a non lasciarsi catturare da quell’oscurità smaniosa che una foresta di segni indecifrabili nasconde: tesi a ricercare i significati, persi nel mare dell’amorfo, mentre nel frattempo in superficie comunque e immancabilmente, the world spins.
Francesca Ciaramella