The Danish Girl
The Danish girl è un film arrivato nelle sale a febbraio 2016, adattamento cinematografico dell’ omonimo romanzo di David Ebershoff. 15 anni dopo lo splendido romanzo, il film riprende la vicenda della prima storica transessuale, Lili Elbe, morta nel 1931 alla quinta operazione in pochi anni, legata all’impianto dell’utero.
La vicenda si sviluppa nella Danimarca agli albori del XX secolo. La ritrattista Gerda Wegener è sposata con il pittore paesaggista Einar Wegener; i due vivono una vita apparentemente felice, si amano, sono complici l’uno dell’altra, sebbene Einar sia un famoso e riconosciuto pittore per i suoi paesaggi danesi, oscuri e tormentati, mentre Gerda ancora non riesce a trovare una sua affermazione come ritrattista. Quando Gerda chiede a Einar di posare al posto della ballerina Ulla, impegnata nelle prove di uno spettacolo, quasi per gioco l’uomo assume l’identità di Lili Elbe, il suo alter ego femminile.
Successivamente continuando questo gioco i due sposi studiano il travestimento adatto per Einar, che arriva addirittura a mostrasi in pubblico in questa nuova veste. Inizialmente Einar è molto imbarazzato dalla sua nuova identità, solo gradualmente inizia a prendere coscienza del fatto di essersi sempre riconosciuto nel senso opposto, nonostante abbia sempre tentato di nasconderlo a se stesso e alla società. Ciò ha ovviamente ripercussioni sul matrimonio e sulla sua vita. Gerda si rende conto di aver forse incoraggiato un cambiamento, tuttavia non abbandona mai il marito, continuando addirittura a dipingere ritratti usandolo nella veste di Lili come modella. Combattuto tra la lotta per la sua identità e le implicazioni morali che ciò comporta, decide di consultare dei medici ma tutti lo considerano matto, un medico addirittura gli praticherà un doloroso intervento di castrazione chimica. Intanto i ritratti di Lili fatti da Gerda hanno successo, e i due si trasferiscono a Parigi. Qui Einar diventa sempre più insofferente alla sua vita maschile; nel lungo e doloroso percorso di accettazione, vissuto da entrambe, i due consultano diversi psicologi, ma nessuno sembra considerare l’uomo più che un pervertito e in taluni casi schizofrenico. La loro ultima speranza risiede nel dottor Warnekros, che da tempo studia e progetta un intervento di riassegnazione sessuale. Nonostante si tratti di una procedura sperimentale, mai osata prima e potenzialmente molto pericolosa, Einar si sottopone a tutti gli interventi necessari. Come prima cosa a un intervento di orchiectomia che sembra andar bene; tuttavia, il suo smodato desiderio di terminare tutto in fretta la porta a sottoporsi a una vaginoplastica dopo troppo poco tempo: la donna muore il giorno dopo il secondo intervento, tra le braccia di Gerda.
Mai come in questi ultimi due anni il mondo cinematografico americano ha riscoperto i transgender, 10 anni dopo Transamerica. Eddie Redmayne semplicemente perfetto per la parte, è sensazionale nel ‘trasformarsi’ in Lili: l’eleganza, la delicatezza dei movimenti, forse esagerato dal punto di vista espressivo, i continui sorrisi e le smorfie lacrimose. Sorprendente l’interpretazione della Vikander, artista, donna e meravigliosa moglie; un ruolo sfaccettato, combattuto e complesso.
La maniera in cui Tom Hooper decide di riproporre al cinema questa storia è allo stesso tempo limitate, per la storia in sé, ma anche meno problematica di quanto si possa intuire. Tutto il film si sviluppa su una magnifica fotografia, la pellicola come se fosse un dipinto mostra allo spettatore all’interno ritratti attoriali, paesaggi naturali, ambienti interni perfettamente arredati ma soprattutto paesaggi umorali. Hooper elimina tutto ciò che esiste di bestiale, turbolento e sessuale da una storia di sesso, da una storia tragica, sofferta di accettazione e cambiamento, diventa così un melenso melodramma dove la transessualità viene presentata in un modo così elegante che è quasi facilmente digeribile da chiunque, anche da chi la ritiene indigesta. Concentrandosi sui dilemmi mentali, The Danish Girl abbandona le pulsioni carnali a solo piccoli accenni, non c’è passione o turbamento nel primo bacio omosessuale (dato a stampo e mal inquadrato); la parte più fisica e materiale, quella appena accennata del sangue vomitato per disperazione, è fuoricampo, inquadrata da lontano o raccontata a parole. A regnare sono i primi piani di Einar lentamente sempre più femmineo garbato e pulito, così che il passaggio sia più da gentiluomo distinto a signora elegante e non da maschio a femmina.
Hooper è così abile che riesce addirittura a convincere che cambiare sesso è solo una questione di spiccata sensibilità femminile in uomini con spiriti d’artista; alla coraggiosa scelta di cambiar sesso del protagonista, Hooper affianca l’eterno rapporto d’amore tra Einar-Lili e Gerda, romanzando una storia prettamente sentimentale. Una scelta voluta e dichiarata, quella del regista.
Il risultato è un film sui transessuali apprezzabile anche da un pubblico di morigerate signore per bene, un prodotto patinato e “accattivante” , il modo forse più elegante di raccontare un argomento indubbiamente delicato e tabù. La sensazione che resta è però quella che forse si sarebbe potuto osare di più, provare a rompere il perfetto equilibrio inseguito dalla prima all’ultima sequenza, in una continua ricercata ‘perfezione’, perché tutto è al posto giusto per ammaliare il pubblico e compiacere la critica.
Anna Chiara Stellato