Umberto Eco: Pape Satàn Aleppe
A pochi giorni dalla morte di Umberto Eco, scomparso lo scorso 19 febbraio, la casa editrice La nave di Teseo, da lui fondata con Elisabetta Sgarbi, Mario Andreose e un gruppo di scrittori, ha deciso di pubblicare, anticipatamente rispetto ai tempi stabiliti, l’ultimo libro del grande scrittore.
Mai scelta fu più appropriata per ricordare la grandezza di Umberto Eco, per far sì che tutti quei giovani che ancora non avevamo mai conosciuto Eco, mai ancora letto un suo romanzo, potessero ora confrontarsi con la sua immensa cultura, la sua capacità di passare dagli scritti medievali ai fumetti, alla filologia, alla linguistica e l’elenco sarebbe ancora lunghissimo.
Pape Satàn Aleppe, titolo provocatorio, formidabile, geniale, sintetico manifesto della vita di Umberto Eco. L’espressione, che apparentemente non significa nulla, è una citazione dantesca (Inferno, canto VII) pronunciata come se fosse un motto, da Pluto e che solo Virgilio pare comprendere. È una frase che ormai da secoli i vari studiosi di Dante stanno cercando di decifrare, comprendere; ecco dunque il manifesto sintetico della vita di Eco: in tre vocaboli evoca il medioevo, i rapporti simbolici tra le parole, lo studio di questi rapporti e dei segni che sfociano nella Semiotica, disciplina che più di tutti ha saputo arricchire. La scelta di questo titolo, come anche del sottotitolo “Cronache di una società liquida”, è lo stesso autore a spiegarlo: la citazione dantesca è tanto oscura quanto lo sono i nostri tempi, un’opera sconnessa, un calderone che racchiude arte, letteratura, scienze sociali, cinema, tv e qualunque altra manifestazione dello scibile umano del postmodernismo. E il postmodernismo non può che essere al meglio rappresentato da questa società liquida, espressione coniata da Bauman per descrivere le dinamiche sociali contemporanee, corrotte dal non senso, dall’effimero, da una sorta di bulimia del consumismo senza senso, dalla schizofrenia verso l’inafferrabile. La crisi e la conseguente fine delle ideologie e dei partiti, la conseguente creazione di un movimento d’indignazione che sa bene cosa non vuole ma non sa cosa vuole.
Eco da magnifico interprete e lettore della contemporaneità ben conosceva la portata di questi cambiamenti, ma aveva il dono di catturarne la sconnessa comicità. Il libro raccoglie una vasta selezione delle oltre 400 “bustine di Minerva” pubblicate dal 2000 al 2015 su «l’Espresso» ; la scelta temporale fa riferimento proprio, secondo l’autore, agli anni in cui si crea concretamente il concetto di società liquida. Le bustine di Minerva sono chiamate così perché le bustine di fiammiferi Minerva avevano all’interno due spazi bianchi sui quali si potevano prendere appunti; Il volume suddivide gli articoli per aree tematiche e ordine cronologico: Essere visti, i vecchi e i giovani, On line, sui mass media, dalla stupidità alla follia ecc.
Con lo sguardo ironico, dissacrante, ma di profonda e seria analisi, Eco ci presenta l’attualità, uno spaccato quanto mai vero della realtà, con particolare interesse verso il web, e una predisposizione a smontare l’eccessiva velocità con cui questo sia entrato nelle nostre vite e soprattutto le abbia stravolte e cambiate.
“twitto dunque sono” scrive in una bustina data 2013.
Twitter è come il bar Sport di qualsiasi villaggio o periferia. Parla lo scemo del paese, il piccolo possidente che ritiene di essere perseguitato dal fisco, il medico condotto amareggiato perché non ha avuto la cattedra di anatomia comparata nella grande università, il passante che ha già preso molti grappini, il camionista che racconta di passeggiatrici favolose sul raccordo anulare, e (talora) chi esprime alcuni giudizi sensati.
Parla poi di Facebook in una bustina del 2014, spiegando come il concetto di privacy diventa privatezza e i social network
Sono uno strumento di sorveglianza dei pensieri e delle emozioni altrui, sono sì usati da vari poteri con funzioni di controllo, ma grazie al contributo entusiastico di chi vi partecipa.
L’autolesionismo per un’apparizione pubblica, il continuo bisogno di farsi vedere, il “ciao ciao dietro l’intervistato”, l’essere capaci di tutto pur di ottenere una comparsata in tv. Sono una caratteristica di questa società liquida.
Scompare un’entità che garantiva ai singoli la possibilità di risolvere in modo omogeneo i vari problemi del nostro tempo, e con la sua crisi ecco che si sono profilate la crisi delle ideologie, e dunque dei partiti, e in generale di ogni appello a una comunità di valori che permetteva al singolo di sentirsi parte di qualcosa che ne interpretava i bisogni.
magnificamente descritta da Eco:
Con la crisi del concetto di comunità emerge un individualismo sfrenato, dove nessuno è più compagno di strada di ciascuno ma antagonista, da cui guardarsi – continua – Questo “soggettivismo” ha minato le basi della modernità, l’ha resa fragile, da cui una situazione nella quale, mancando ogni punto di riferimento, tutto si dissolve in una sorta di liquidità. Si perde la certezza del diritto (la magistratura è sentita come nemica) e le uniche soluzioni per l’individuo senza punti di riferimento sono l’apparire a tutti i costi, l’apparire come valore (fenomeni di cui mi sono sovente occupato nelle Bustine) e il consumismo. Però si tratta di un consumismo che non mira al possesso di oggetti di desiderio in cui appagarsi, ma che li rende subito obsoleti, e il singolo passa da un consumo all’altro in una sorta di bulimia senza scopo (il nuovo telefonino ci dà pochissimo rispetto al vecchio, ma il vecchio va rottamato per partecipare a quest’orgia del desiderio).
Eco ci lascia un’opera eccezionale, un’antologia che scansiona in maniera lucida, ironica, dissacrante tutta la liquefazione morale degli ultimi quindici anni; ci racconta chi siamo stati (pochissimo tempo fa), chi siamo e in che realtà ci muoviamo, invasi dalla tecnologia e dai mass media, rappresentazione dell’abbrutimento morale, culturale, intellettuale dell’uomo contemporaneo, nella sua compulsiva necessità-urgenza di avere sempre qualche cosa di importante da riferire, un’urgenza che lo porta all’autodenuncia inconsapevole della propria stupidità. Perché è proprio questo il dramma della nostra epoca: essere assillati dal presente (liquido) e aver perso la memoria di quello che è successo anche poco tempo fa, privandoci di punti di riferimento.
C’è un modo per sopravvivere alla liquidità? C’è, ed è rendersi appunto conto che si vive in una società liquida che richiede, per essere capita e forse superata, nuovi strumenti. Ma il guaio è che la politica e in gran parte l’intellighenzia non hanno ancora compreso la portata del fenomeno. Bauman rimane per ora una “vox clamantis in deserto”.
Anna Chiara Stellato