Simone Innocenti, giornalista di cronaca del Corriere Fiorentino, ha pubblicato la sua prima opera dal titolo Puntazza, edito da L’Erudita.
Il titolo Puntazza, fa riferimento ad una fantomatica cittadina della provincia italiana, non ben identificabile dal punto di vista geografico. Ma se smettessimo di pensare che i luoghi delle storie, solo perché raccontate in un libro, si possano trovare lontano da noi e dal nostro mondo, capiremmo che Puntazza è molto più vicina di quanto crediamo; Puntazza è ogni piccola provincia italiana; probabilmente Puntazza è anche quella provincia che abbiamo dentro di noi, è quel lato oscuro, il retro della maschera che indossiamo ogni mattina, è quello che gli altri non si aspetterebbero mai da noi, dalla nostra vita; Puntazza è un luogo pieno di desideri inespressi, di aspettative deluse, di passioni e amore.
Otto racconti che hanno per protagonisti personaggi alquanto insoliti, ma per nulla irreali: trafficanti di animali, improbabili soggetti che sperano di “incularsi” la vita con dei gratta e vinci, donne stalker, omosessuali innamorati nel silenzio che da sempre contraddistingue queste coppie; sordi a scadenza, uomini desiderosi di diventare camionisti.
Sono personaggi spigolosi, duri, malinconici, a volte insopportabili, altre tremendamente cinici, freddi e calcolatori, quelle persone che non vorreste incontrare mai nella vostra vita. Protagonisti di storie di amori estremi, appassionati, violenti, gelosi, immortali, protagonisti passivi di una vita che va avanti senza che loro se ne accorgano.
Innocenti per la sua prima opera ha dimostrato molto carattere e coraggio, ha messo il lettore davanti a uno specchio; questi otto brevi racconti, dalla trama essenziale, potrebbero essere letti anche separati l’uno dall’altro, hanno una cosa che li lega in modo evidente: quella di rappresentare al meglio la maschera della nostra società, la nostra umanità, quella perennemente in bilico che lotta contro un destino talmente labile e incerto che:
Del resto la vita te la devi inculare perché se aspetti che smetta di incularti non hai capito proprio nulla. O no?
La bellezza di questo libro è racchiusa proprio in questo, nella scelta linguistica operata dall’autore, capace di passare da toni cattivi a quelli più pacati, utilizzando sempre un linguaggio essenziale, ricco di espressioni quotidiane, a noi familiari, che però sentiamo sempre come lontane quando le ritroviamo scritte in un testo o le ascoltiamo in qualche film; ma quel linguaggio altro non è che il nostro, quei personaggi altri non siamo che noi.
Perché a volte si diventa infami per colpa di un amore tradito
oppure la purezza dei sentimenti più autentici:
[…]Quello che il cielo ha da dire alla terra si sente, ma nessuno sa ripeterlo. Non c’è chi possa riferire a un altro la bestemmia del tuono, le bugie della pioggia alla zona aride o il crepitio sconcio del fulmine nell’aria grassa di nubi. Quello che il cielo sa dire alla terra non ha testimoni, solo complici.
Ti amo. Tuo per sempre, Galliano.
Si spera in altre future opere di questo giornalista scrittore. Convinta ormai di essere anche io “un camionista”, vi suggerisco di farvi fare compagnia dai personaggi di Puntazza e da Simone Innocenti.
Ho sonno e tu non puoi capire.Tu che stai leggendo non ci arrivi proprio a capirlo. Tu che stai leggendo mi hai fatto compagnia fino a ora: sei stato il mio orizzonte, portandomi a spasso con te. Eravamo in viaggio, te ne sei accorto? Perché anche tu sei un camionista. Sei un camionista, vero?
Anna Chiara Stellato
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