Chi sa cosa faceva Holly Golightly per guadagnarsi da vivere?
Quando vidi per la prima volta Colazione da Tiffany – avrò avuto quindici o sedici anni al massimo – non mi fu molto chiaro che cosa facesse Holly Golightly per guadagnarsi da vivere. Pare che Audrey Hepburn avesse chiesto di smorzare i toni del suo personaggio e renderlo meno sfacciato; che poi gli sceneggiatori abbiano deciso di lavorare sulla sua impudenza per accontentarla o per andare incontro ai dettami di Hollywood, il risultato procede comunque in quella direzione. Bisogna ammetterlo, la faccenda dei cinquanta dollari per la toletta non è sembrata chiara a nessuno di noi.
Dalla carta allo schermo
Truman Capote non digerì affatto che il suo romanzo fosse stato ampiamente rielaborato per diventare un film che si piegasse alle convenzioni dell’industria cinematografica, e men che mai gradì l’opera di edulcorazione esercitata sulla sua Holly. Del resto, stiamo parlando di un personaggio che, nelle sue vesti letterarie, non sopporta di sottomettersi a nessuna di quelle convenzioni.
Holiday “Holly” Golightly è una giovane newyorkese (ma texana di nascita) di neanche vent’anni, che sogna di fare la vita da mantenuta sposandosi a un qualunque riccone che abbia le tasche strabordanti di soldi, pur non avendo nessuno dei requisiti che le grandi signore dimostrano di possedere, fatta eccezione per un’eleganza tutta naturale. Per il resto, il buon senso e il bon ton mancano decisamente all’appello. Non che lei non lo sappia: è che ha deciso di sacrificare l’adesione alle consuetudini sociali in nome di tutto ciò che le procura divertimento, cosa per la quale, come lei stessa afferma, sarebbe disposta persino a profanare una tomba. Conosce i principi della morale puritana e sceglie deliberatamente di ignorarli, e non dà alcun peso all’usanza borghese di dover apparire in ogni occasione come una persona perbene («sono sempre un asso, io, quando si tratta di scandalizzare il prossimo»).
Le uniche apparenze che contino per lei riguardano l’aspetto e la compostezza («Tesoro, vuoi frugare in quel cassetto e darmi la mia borsa? Una ragazza come si deve non legge le lettere di questo tipo senza rossetto»). È questo che porta un’inquilina del suo stesso condominio, nel romanzo, a definirla «moralmente riprovevole» e a darle senza esitazione della prostituta. L’abbiamo pensato un po’ tutti, che fosse questo il modo in cui Holly riuscisse ad arrivare a fine mese.
Il mestiere più vecchio del mondo
La stessa noncuranza per ciò che è comunemente ritenuto sconveniente le fa però affermare, ancora nel romanzo, che in tutto è andata a letto solo con undici uomini, compresi il marito e l’ultimo fidanzato, il che ci porta ad un totale di nove amanti: decisamente pochini, per una che abbia fatto del letto il suo luogo di lavoro. La verità è che non si tratta di una prostituta, ma di quella che noi oggi definiremmo escort o accompagnatrice: una donna che accetta soldi o regali dietro richiesta, neanche troppo velata, dagli uomini a cui concede la sua compagnia («qualsiasi gentiluomo con un minimo di chic vi darà un cinquanta per la custode del gabinetto, e io chiedo sempre anche i soldi per il taxi, che fa un altro cinquanta»). E qui arriviamo al punto.
Il romanzo di Capote edito nel 1958 si preoccupa di rompere gli schemi tanto quanto il film omonimo del 1961 tenta di rimettere ogni cosa al suo posto. La Holly Golightly che prende forma nel libro dice cose come: «Non ho niente contro le prostitute, naturalmente. Salvo questo: alcune possono avere una lingua onesta, ma tutte hanno il cuore disonesto. Voglio dire, non si può sbattersi un uomo e incassare i suoi assegni e non cercare almeno di credere che lo si ama». Un linguaggio simile, riportato nel film, avrebbe senza ombra di dubbio messo in pericolo le carriere di Audrey Hepburn e di chiunque altro vi avesse preso parte. Per non parlare poi della questione dell’omosessualità.
Rivoluzione sessuale: sì, ma con prudenza
«Naturalmente, gli altri non potevano fare a meno di pensare che fossi un po’ lesbica anch’io. E lo sono, naturalmente. Tutte lo siamo, un po’. E con questo? È una cosa che non scoraggia mai gli uomini, anzi sembra che li ecciti». Di relazioni con altre donne non ne abbiamo prova, e nulla autorizza a credere che ce ne siano mai state, ma quale protagonista di una commedia avrebbe potuto parlare così esplicitamente della sessualità propria e degli uomini, in un’America che stava appena cominciando la rivoluzione sessuale? Un’America, vale a dire, che aveva appena accettato di togliere il bavaglio a L’amante di Lady Chatterley, e che Marilyn Monroe parlasse di biancheria intima e facesse svolazzare la gonna bianca al passaggio su una grata in mezzo alla strada. Farsi pagare da estranei e assumere l’aria della libertina poteva bastare per la trasposizione cinematografica. Restano quei famosi cinquanta dollari per la toletta che hanno fatto venire qualche dubbio a più di uno, ma basta ricorrere alle parole dell’autore per comprendere che di prostituzione non si tratta affatto, almeno non come i più maliziosi potrebbero intendere («Holly Golightly was not precisely a callgirl. She had no job, but accompanied expense-account men to the best restaurants and night clubs, with the understanding that her escort was obligated to give her some sort of gift, perhaps jewelry or a check»). L’unico problema restava la sua lingua lunga, e a questo si è provveduto tagliandogliela.
Due pesi, due misure
La stessa esigenza di moralità fece sì che i produttori hollywoodiani intervenissero anche sul protagonista maschile, l’innominato narratore di cui, in effetti, sappiamo ben poco, e che a un certo punto dice di essersi innamorato di Holly, ma come una volta era stato innamorato «dell’anziana cuoca negra di mia madre e di un postino che mi permetteva di seguirlo nei suoi giri e di una intera famiglia di nome McKendrick». Nulla per cui i due alla fine dovessero finire insieme. Neanche l’ombra del romanticismo sembra adagiarsi sul romanzo. Ma le regole del grande schermo non potevano tollerare che l’eroe di una commedia sentimentale non fosse abbastanza virile da far colpo sul pubblico femminile, e così lo fecero diventare un gigolò.
La sceneggiatura di George Axelrod inventa dal nulla il personaggio di Liz, la signora benestante che per lui infrange il vincolo coniugale e strappa assegni. Nel film li vediamo chiaramente in camera da letto, dopo che hanno presumibilmente consumato un rapporto, e lei gli lascia una bella somma sul tavolino. Il sospetto che il narratore del libro fosse gay (l’ipotesi è che il personaggio sia autobiografico) ha costretto la produzione a marcare il machismo del suo corrispettivo cinematografico in modo che nessuno potesse dubitare che non fosse etero. Curioso, perché è successo proprio quel che si era cercato di evitare con Holly: salvarono la sua licenziosità epurando i dialoghi di ogni accenno al sesso, e la ricoprirono con la grazia e lo charme della Hepburn per far sì che il pubblico ne restasse ammirato e che a nessuno venisse in mente di chiamarla sgualdrina. Lui facesse pure quel che gli pare. Non credo sia mai esistita una brutta parola per definire gli uomini che vanno a letto con le donne per denaro.
Andrea Vitale
L’ha ribloggato su Gli Anni e Le Ore.