Dalla pietra alla carne dell’Eracle Farnese: Fatiche/Ferite

13515383_1006470339407062_1308294461_nLe gesta dell’Eracle Farnese giungono al pubblico contemporaneo arricchite di tutta la tragicità e l’epicità del suo insolito destino, offrendo a Luigi Pagano l’inedita occasione di ammirare la statua da un’angolatura ultramondana e mondana insieme, nella mostra dal titolo Fatiche/Ferite che si terrà oggi 30 giugno alle ore 17.00 al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. L’eccezionalità dell’evento è confermata dalla possibilità di accostare alla visione dell’originale scultura (tuttora importante attrazione della struttura) la prospettiva moderna offerta dall’artista napoletano: i suoi dipinti e disegni indagano la piccolezza dei dettagli elevandoli a elementi di prim’ordine grazie a volumetrici tocchi di colore e pindariche pennellate, la cui profondità quasi clinica mira a fornire una radiografia dell’eroe.

Pagano reinterpreta non solo l’imponente fisicità plastica della statua, ma ne riconsidera anche la storia e il cammino che l’ha condotto fino alla città partenopea. Riproduzione di un originale in bronzo di Lisippo, l’Eracle Farnese è firmato in basso dall’ateniese Glicone e si erge per quasi tre metri di altezza invadendo completamente il raggio visivo dell’osservatore. Ciò che l’opera racconta richiede uno sforzo troppo grande per essere contenuto in una sola fuggevole occhiata; piuttosto induce ad approfondire l’indagine delle parti come fa notare il curatore del  progetto promosso come ultimo e imperdibile evento del Servizio Didattico ed Educativo del MANN sotto la sua supervisione, Marco de Gemmis:

Il corpo di marmo si fa osservare nel suo imponente insieme, ma presto, inevitabilmente, invita pure a farsi scomporre e ricomporre allontanandosene e avvicinandosi. Molti visitatori lo fanno più volte, anzitutto per scoprirne il volto dopo essersi lasciati meravigliare dalla possente muscolatura; e poi gli girano intorno quanto nessuna altra statua del Museo spinge a fare, se non altro per vedere come si concluda quel movimento del braccio destro piegato indietro, o per scoprire se la mano nascosta regga qualcosa.

13522514_1006469762740453_1943771078_nIl semidio ormai maturo è rappresentato al culmine della sua leggendaria vicenda. Portata a termine l’ultima fatica, l’uccisione del leone di Nemea di cui ha conservato la pelle come trofeo, può appoggiarsi a una roccia e finalmente trovare ristoro fisico. La tensione del corpo e l’evidente stanchezza sono percettibili nel volto e in una serie d’increspature fisiche, a cui Pagano ha scelto di dare con questo particolare omaggio tutta la sua umana comprensione. Ognuna delle ferite è testimonianza della debolezza terrestre nei confronti dell’eternità olimpica, e pur solcando e apparentemente incrinando l’ideale classico di perfezione, in realtà afferma con grande forza realistica la memoria delle imprese dell’Eracle.

Ed è sulla scia di questa memoria perpetua che la statua si lascia guardare e ammirare anche nei segni lasciati su di essa dai secoli. Come nel caso dei tagli presenti sotto entrambe le ginocchia, indizi del già citato e complicato cammino fino all’esposizione nel museo napoletano. Quando l’opera venne rinvenuta nel 1546 nelle terme di Caracalla a Roma, era mancante dei due polpacci oltre che di altri pezzi. Dopo essere stata conservata per generazioni nella sala d’Ercole del Palazzo Farnese con due arti inferiori inseriti da Guglielmo della Porta, venne trasferita a Napoli nel 1787; prima presso la reggia di Capodimonte e poi nell’attuale Museo Archeologico Nazionale. Fu proprio in occasione dell’adozione napoletana, che si decise di restituirle i pezzi originali rinvenuti qualche tempo prima.

La stessa immagine è rappresentata in una delle riproduzioni di Pagano. I due polpacci, su cui il pennello indugiando nel ridisegnare  la profondità dei legamenti penetra oltre l’apparenza della dimensione epidermica, sono solcati anche dai due tagli superficiali. Eppure l’artista non si comporta unicamente come un attento restauratore in piccola scala; egli intende andare oltre tutti i segni visibili che l’imponente ci concede e invadere la plasticità fisica con le sue pennellate contrastanti.

Questa trasfigurazione delle varie parti dell’Eracle lungi dal volerne intaccare l’antico ideale di grandezza, mira a riconsiderare ciò che si nasconde dietro l’esemplarità e la leggenda dell’eroe. Egli opera come se da una semplice ferita o da una piega muscolare potesse estrarre un tessuto, un nervo o un legamento e come se dietro la dura e fredda pietra immortale fosse possibile levare il velo sulla fatica personale dell’uomo.

Francesca Ciaramella

Grado Zero è una rivista culturale online, nata dall’incontro di menti giovani. Si occupa di cultura e contemporaneità, con particolare attenzione al mondo della letteratura e del cinema.

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