Ben presto la creazione di opere scritte venne sostituita da quello che Jodorowsky definì «effimero panico», evento che accadeva una sola volta in uno spazio mal definito – secondo il dettato di Artaud – la cui missione era fare in modo che l’interprete interrompesse l’identificazione con il “personaggio” che quotidianamente indossa la maschera della cultura, della società, della famiglia e risvegliasse, tramite l’euforia della recitazione libera, la propria natura autentica. Tale esplorazione dell’enigma intimo segnò, quasi senza volerlo, l’inizio di un teatro terapeutico che avrebbe condotto più tardi alla fondazione della psicomagia.
Per citare alcuni esempi di atti psicomagici prescritti e realizzati, ad un uomo incapace di “tenere i piedi per terra” e di “avanzare” verso un’indipendenza economica venne consigliato di incollare due monete d’oro alle suole delle scarpe e passeggiare senza mai voltarsi indietro, affinché calpestasse oro tutto il giorno, mentre ad una donna che nutriva una profonda rabbia nei confronti della madre fu suggerito di acquistare due angurie, simbolo del seno materno, spaccarle a forza di pugni e disporne i pezzi in un sacco rosa carne confezionato a mano da gettare nella Senna. Questa innovativa terapia utilizza qualsiasi ingrediente, dalla danza alla poesia, dalla pittura alla scultura, dalla musica alla cucina, pur non intendendo imporsi come una delle tante forme di arte terapeutica – come ad esempio la musicoterapia, la psicopittura o altre tecniche utilizzate nell’ambito riabilitativo – bensì come un’autentica “terapia artistica”.
Tra l’altro, Jodorowsky ha sempre esecrato qualsiasi forma di espressione solipsistica che mira soltanto ad ingrossare l’ego e alimenta una visione del mondo parziale e autoreferenziale: «Non mi piace l’arte che serve solo a celebrare il suo esecutore, mi piace l’arte che serve per guarire» recita una sua celebre poesia. Attraverso il cinema, l’autore di visionarie pellicole di culto, come “El Topo” e “La montagna sacra”, ha cercato non solo di comunicare con gli altri, ma di mettere in moto un processo di trasformazione dell’Io, un profondo mutamento delle coscienze, instaurando un rapporto privilegiato con il pubblico; un pubblico attivo, che interviene esso stesso nella creazione e, anzi, ne è il vero soggetto finale. Nel corso di una conferenza tenuta a Cinecittà nel 2003 ha dichiarato:
Un cinema terapeutico deve mostrare modelli, metterci di fronte a problemi e poi però risolverli. Mostrare una coppia in crisi poiché uno dei due cambia e l’altro no. Quindi mostrarci che quello che non cambia è costretto a sottoporsi anch’esso ad una trasformazione per arrivare al livello raggiunto dall’altro. Esempi così, insomma, che descrivono la realizzazione sublime dell’essere umano.
In fondo il cinema, come l’arte tutta, cos’è se non una pratica magica attraverso la quale rappresentare il mondo – anche sottoforma di metafora – per poterlo interpretare e vivere meglio? L’arte ha la capacità di ridonare all’individuo la sua potenzialità infinita e, perciò, di offrirgli una cura. Ed è per questo che l’arte in grado di curare è l’unica forma di arte possibile. Parola di Alejandro Jodorowsky.
Valerio Ferrara
Nobody Wants This è una boccata d’aria fresca nel panorama delle commedie romantiche. Perché la…
#gradostory Gomito alzato, pistola in pugno. Sguardo fisso all’orizzonte – chiuso. Una flotta di navicelle…
#gradostory Somewhere Only We Know, canzone pubblicata dalla rock band britannica Keane nel 2004, è…
Condominio Ogni mattina, alle 4.50, l’inquilino dell’interno 6 prepara il caffè in cialda. Dal momento…
Quest’estate sono entrato in una libreria con la semplice intenzione di dare un’occhiata in giro,…
L’uomo davanti a me s’infila il dito indice nel naso. Avvita, avvita, avvita, fin quando…