La legge di Hemingway
In certi ambienti editoriali la parola editor viene pronunciata molto più di quanto si possa immaginare. Altrettanto avviene per il termine editing. E con la stessa frequenza questa figura professionale e il suo lavoro, vengono fraintesi.
Chiediamoci quindi: chi è un editor e cosa fa?
Rispondiamo con ordine: l’editor è il primo lettore del libro, colui che argina le eccentricità dell’autore, che conosce i gusti del momento, perché accanito lettore, e, se navigato, conoscitore anche delle informazioni minime, perché costretto per lavoro a indagare e diffidare d’ogni elemento presente nel manoscritto su cui lavora per assicurarsi coerenza e certezza d’informazioni. Non esiste una regola precisa per svolgere questo lavoro – certo, oggi una notevole quantità di tecnicismi ne ha appiattito la componente artistica, talvolta anche confondendo, almeno in Italia, la figura con quella del correttore di bozze – ma sommariamente potremmo dire che esistono due tipi di editor: (1) quello che si assicura la funzionalità del testo apportando piccole e fondamentali modifiche; (2) quello dall’approccio invasivo, capace di stravolgere, senza snaturare, il testo. In entrambi i casi compito dell’editor non è correggere i refusi né riscrivere l’opera eclissando l’autore, ma spulciare i contenuti del libro e scegliere se quel testo sia pronto o meno per arrivare nelle mani del lettore.
Per quanto lo scrittore possa essere geniale non c’è testo che nasca perfetto. Ernest Hemingway, riferendosi anche alla sua stessa opera sosteneva:
“La prima stesura di qualsiasi cosa è merda”
Il linguaggio è certamente colorito ma, dato che siamo di fronte al genio auspicato, concentriamoci sul fondo di realtà della frase. Ogni manoscritto è imperfetto. Talvolta gli autori lo riconoscono e contribuiscono, creando la giusta sintonia, alla valorizzazione del testo; altre, che sia per insicurezza o per arroganza, l’autore diffida d’ogni consiglio.
Come opera l’editor?
Per prima cosa legge il testo andando alla ricerca di incongruenze: controlla date di eventi storici, posizioni geografiche, usi, costumi, tutto quanto contenuto nel libro viene passato a setaccio, annotato e riportato all’autore. In secondo luogo si passa alla grammatica: costruzioni sintattiche, uso dei verbi, concordanze, composizione del testo.
In questa fase il testo subisce molteplici modifiche e, tra taglia e incolla, riscritture e spostamenti, qualcosa viene sempre lasciato per strada. Risulta quindi opportuna la successiva lettura del correttore di bozze che, con occhi nuovi, lima le imperfezioni.
Un manoscritto su cui ancora non si è lavorato presenta: ripetizioni, “Marco nel pomeriggio avrebbe incontrato un amico. Insieme all’amico sarebbe andato al centro commerciale dove avrebbero incontrato Silvia. L’amico ne era innamorato.”; errori di punteggiatura, con virgole messe a caso, eserciti di punti esclamativi e punti sospensivi, elementi grafici usati arbitrariamente senza rispettare alcuna coerenza interna (come dialoghi introdotti dal trattino [- ciao – disse] poi improvvisamente scritti tra virgolette [“ciao”, disse]); mancanza di coerenza interna, che dev’essere applicata, magari, per termini che presentano diversa resa grafica, come potrebbe accadere per “tè”, diverso dalla variante “the”, ma dallo stesso sapore; presenza di termini imprecisi, la cui sfumatura semantica potrebbe essere poco adatta al contesto perché sbagliati, inappropriati, complicati, arcaici, etc.; frasi fumose, ovvero grammaticalmente corrette ma prive di qualsiasi senso compiuto.
Altri elementi imprescindibili del testo sono la voce, o più voci, e lo stile. Scelti dall’autore e da rispettare all’interno di tutto il testo, sempre: è, per esempio, alquanto improbabile che i pescatori d’un piccolo borgo parlino l’italiano proposto dall’Accademia della Crusca.
In seguito si analizzano gli elementi interni del romanzo, la caratterizzazione, formazione, evoluzione e resa dei singoli personaggi, la veridicità della loro interazione, i possibili buchi di trama e le incongruenze narrative, si discute sull’intreccio considerando eventuali velamenti e disvelamenti di trama, si analizza l’ambientazione e ci si accerta delle informazioni relative ai luoghi citati.
In un buon editing, insomma, nulla deve passare inosservato. L’autore dev’essere spronato a dare il meglio di sé, rivedendo interi capitoli, riscrivendo delle parti, sapendo rinunciare ad altre. E se, come diceva Hemingway, in quella che ironicamente provo a presentare come legge, ogni prima stesura è merda, questa dev’essere usata dagli editor come concime utile agli scrittori per produrre buoni frutti.
Insomma, quello dell’editor è un lavoro fondamentale oggi. Questo lettore esperto contribuisce a mediare i rapporti tra case editrici, scrittori e pubblico, facendo leva sulle capacità inespresse dei singoli scrittori e andando incontro, da un lato, alle tendenze del momento, dall’altro, ai progetti editoriali in cui si inseriscono determinati testi. Per uno scrittore ancora acerbo, lavorare con un professionista di questo genere può essere una buona occasione per scoprire e affinare il proprio stile, delineare una propria identità narrativa, riconoscere ed eliminare errori ricorrenti della propria scrittura o, magari, analizzare a fondo temi che s’intendono sviluppare.
Lettori, certo, esperti di letteratura, ma talvolta veri e propri scrittori.
Fare editing, per autori esperti, può essere l’occasione ideale per riflettere sulla propria scrittura e confrontarla magari con quella d’un collega stimato. Un caso fra tanti, quello tra Eliot e Pound. Nel 1921-22 Thomas Stearns Eliot stava elaborando le varie stesure di The Waste Land, forse l’opera poetica più importante del Novecento inglese. Una di queste stesure, quella che riteneva migliore, l’inviò all’amico poeta Ezra Pound. Pound, senza alcuna riserva, massacrò i manoscritti che ricevette intervenendo su quasi tutto il testo, realizzando però notevoli miglioramenti. Il risultato fu particolarmente gradito da Eliot che decise di dedicare proprio a Pound l’opera, accompagnando la dedica con l’espressione dantesca: «al miglior fabbro».
Un caso fra tanti, si è detto, ma di sicuro efficace. È in questo che consiste la legge di Hemingway: nella consapevolezza di dover sempre lavorare sulle prime stesure dei testi, talvolta affidandosi a mani esperte.
Antonio Esposito
splendido articolo!