Cosmopolis, D. DeLillo. L’odissea contemporanea a bordo di una limousine

Leggendo DeLillo ho sempre l’impressione di guardare in una sfera di cristallo; mi sembra di poter osservare il mondo intero all’interno di un piccolo oggetto. A differenza di un trucco da chiromante, però, un libro di DeLillo non predice il futuro, ma legge, commenta, narra il presente modulandone, con lucidità e intuizioni brillanti, le molteplici sfaccettature.

cosmopolis-il-libroIl romanzo di DeLillo su cui mi soffermerò è Cosmopolis (2003).

Eric Packer, protagonista del libro, è un giovane direttore d’azienda multimilionario che attraversa New York a bordo della sua limousine bianca. Reduce da una notte insonne, Eric ha deciso di prendere la sua lunga auto di lusso per andare a tagliarsi i capelli, ma la limousine finisce per imbottigliarsi nel traffico e procede a passo d’uomo. Una serie di eventi hanno, infatti, bloccato l’intera città: una visita del Presidente degli Stati Uniti, un corteo di manifestanti anarchici e il funerale di un noto cantante rap.

Mentre scivola come un grosso bruco bianco tra i forellini della Grande Mela, l’auto diventa luogo di un viavai di personaggi diversi, che rasenta l’inverosimile. Uno di questi è Didi Fancher, esperta di finanza e manager personale di Eric, caricata in auto al volo durante il suo jogging del giorno libero e catapultata di nuovo in strada a consulenza finita, pronta a riprendere la sua corsa interrotta. Un altro è il medico che controlla lo stato della prostata asimmetrica di Eric, maneggiandogli l’interno del sedere su un lettino per le visite mediche montato all’interno della vettura. Un altro ancora è Shiner, genio dell’informatica asiatico, che parla dentro la cannuccia di plastica che sporge ad angolo ottuso da un bicchiere di spremuta d’arancia.

Tutti gli altri piccoli o grandi protagonisti della storia scivolano davanti al finestrino della limousine, trasportati dalla voracità di una città perennemente in movimento (“the city who never sleeps”). Tra i protagonisti che non entrano mai nella limousine di Eric, c’è Elise Shifrin, la donna che il giovane multimilionario ha recentemente sposato e che ha ancora difficoltà a riconoscere, quando, con la sinuosità di un fantasma, si nasconde tra gli scaffali di una libreria. Elise è l’elemento discordante, il movimento irrefrenabile e inafferrabile del romanzo, che spinge Eric fuori dalla sua auto e che genera dubbi.

Il negozio del barbiere di fiducia in cui finalmente termina il viaggio di Eric è l’Itaca di una vertiginosa Odissea su una nave a forma di limousine bianca tra i rumori, i sapori e i movimenti di una città che somiglia sempre più ad un mare in tempesta. Con il viaggio odisseico del suo Eric-Ulisse e con l’inconfondibile tecnica del flusso ininterrotto di pensieri sul modello di Joyce, Cosmopolis è un quadro delirante e disinibito dei nostri anni.

In questo articolo affronterò alcuni punti chiave della narrativa e dello stile di DeLillo. Prima di tutto, parlerò del suo rapporto con i modelli narrativi contemporanei nella visione di Stefano Calabrese. In un secondo momento svilupperò l’idea di non-luogo, inteso non – secondo la definizione comune – come spazio reale, anonimo, dotato delle stesse caratteristiche in ogni Paese, ma come spazio virtuale della società di internet in cui i pensieri, le parole e i gesti dell’uomo perdono concretezza e confondo il nostro rapporto con il mondo reale. Infine parlerò di quelle che ho definito le “cose”, ovvero gli oggetti, talvolta privi di utilità, che riempiono le nostre vite e a cui la narrativa di DeLillo dedica pagine di velata polemica.

 1.  Biografia e stile

don_delilloDon DeLillo (New York, 1936), all’anagrafe Donald Richard DeLillo, nasce e cresce in un quartiere del Bronx abitato principalmente da italo-americani. I suoi genitori, infatti, sono originari di Montagano, un paese del Molise. La vita nel Bronx e l’educazione ricevuta nelle scuole cattoliche – che frequenta fino agli anni dell’Università – sono elementi che si ripercuoteranno molto nella sua scrittura, soprattutto in Underworld.

La narrativa di DeLillo si colloca, secondo Calabrese[1], nel dopo post-moderno: innovatrice rispetto ai normali canoni del postmodernismo ma più arretrata di altri global novelist. Calabrese sostiene che gli elementi tipicamente postmoderni della narrativa di DeLillo riguardano soprattutto “la presenza simultanea e polarizzata, da un lato di un’energia costruttivista, dall’altro della tendenza frammentatrice, pulviscolare e nichilista […],” e il “connubio incessante di normalità e follia, standardizzazione e anomalia”. Ne consegue l’assunzione di consapevolezza da parte del lettore di tutti i controsensi della realtà. Ciò che invece farebbe associare DeLillo al più moderno global novel è il rapporto dell’autore con la rappresentazione della realtà.

Auerbach[2] sosteneva che il romanzo, in quanto narrazione della realtà – o piuttosto mimesis, imitazione della realtà – nasce nel XIX secolo, dopo Balzac. La letteratura, attraverso il romanzo moderno assurge, dunque, al compito di interprete della vita reale. Ciò che spinse il testo scritto e, più in generale, le forme d’arte dell’epoca ad imitare la realtà, fu la trasformazione quasi repentina che stravolse il mondo intero a seguito della rivoluzione industriale. I grandi cambiamenti epocali hanno sempre determinato rivoluzioni importanti in campo culturale, in tal senso, la letteratura si è posta, a partire dal XIX secolo, come modulatrice di una realtà in movimento, completamente scombussolata nei suoi ritmi e nella sua quotidianità. Il romanzo ha permesso all’uomo moderno di guardarsi intorno con maggiore consapevolezza. Su questa scorta, gli studi condotti da Calabrese sulla narrativa di DeLillo e sul global novel individuano questa non-luogo-fuori-e-dentro-di-se-2-muri-non-piu-edifici-42dc7d4c-80a3-4529-a10a-80f6c865d48fesigenza, ancora viva nel romanzo a noi contemporaneo di esprimere una conoscenza del presente. A differenza della letteratura del XIX secolo che ancora indugiava sulla ricerca di cause e intenzioni, la letteratura dei nostri anni si fossilizza sul quotidiano, sulla descrizione pura e semplice del mondo circostante. L’elemento che avvicina DeLillo al global novel, secondo Calabrese, è l’assottigliamento della linea del presente. Nella narrativa dopo il postmoderno non ci si domanda più quali siano le cause di un’azione o i progetti, i desideri, le intenzioni di un personaggio, “il global novel sostituisce […] la conoscenza al desiderio, e in questo modo parifica le motivazioni (passate) alle intenzioni (future), spostando in avanti il baricentro della letteratura”.

Lo stile di DeLillo è, infatti, caratterizzato da un flusso ininterrotto di pensieri, che riflettono sul mondo circostante senza porsi domande e che si limitano alla pura osservazione e descrizione.

Tale flusso di pensieri è sviluppato da DeLillo su una linea spazio-tempo disordinata. I luoghi si succedono con cambi repentini o scivolano a passo d’uomo fuori dal finestrino della limousine bianca di Eric. Invece, la linea del tempo, che in una prima parte del romanzo procede in modo ordinato, ad un certo punto, finisce per incrinarsi, producendo una paradossale inversione tra tempo reale e tempo virtuale. È su queste basi, che ho sviluppato l’idea di non-luoghi nella narrativa di Don DeLillo.

2.  I non-luoghi

“Ci sono stelle morte che brillano ancora perché la loro luce è intrappolata nel tempo.

Dove mi trovo io in questa luce che a rigor di logica non esiste?”

La citazione sopra riportata è tratta da “Confessioni di Benno Levin”, metatesto all’interno di Cosmopolis. Si tratta di un periodo breve, diretto, di un’efficacia strabiliante. Dove siamo? Come possiamo stabilire la nostra posizione esatta in un mondo che, ora come ora, non ha confini? La comunicazione virtuale collega ogni angolo del pianeta con quello opposto in frazioni di secondi; quando abbiamo un cellulare tra le mani o siamo seduti dietro lo schermo di un computer superiamo i confini delle cose, ci dissolviamo in un etere di pixel, suoni, kappabyte, piccole scintille di informazioni disperse come miriadi di stelle sulla volta celeste. Internet ha cancellato i nostri confini, ha plasmato il nostro ecosistema di prospettive abbattendo muri, donando luce agli angoli bui. In un mondo siffatto, perdersi è facile, anche se abbiamo scaricato la versione più aggiornata di googlemaps.

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Viviamo nella luce di stelle che ci illudiamo di vedere, ma che, con molta probabilità, potrebbero non esistere neanche più. Inebetiti dal delirio di onnipotenza fornito da internet, viviamo la nostra vita convinti di essere ovunque e di avere le risposte in tasca, ma dove sono realmente i luoghi in cui affermiamo di essere e le cose che crediamo di possedere?

La narrativa di DeLillo, in particolar modo in Cosmopolis, tocca, il nerbo della questione: l’autore descrive, con la naturalezza di uno stile che sembra una telecronaca del mondo visto dal finestrino di una limousine, la sensazione di essere intrappolati in uno spazio-tempo indefinito e dai bordi frastagliati.

La vita di  Eric si sdoppia tra il mondo reale fuori dal finestrino e gli schermi in digitale dei computer che affollano la sua limousine. Il suo Io è staccato dalla realtà e proiettato, da un’iperbole crescente di allucinazioni, in un cyberspazio profetico in cui, sullo schermo luminoso, gli appare l’immagine in differita di se stesso in un futuro prossimo. Ad un certo punto del romanzo, Eric inizia ad avere l’impressione che gli schermi delle telecamere fissate al soffitto della limousine – che lo spiano come un Grande Fratello – inizino a proiettare con leggero anticipo ogni suo movimento. La cosa si ripete aumentando progressivamente il tempo della differita, fino a quando lo schermo digitale del suo orologio da polso non predice, con qualche minuto di anticipo, il finale disastroso della storia.

La tecnologia oracolo di Cosmopolis è una delle trovate più brillanti di DeLillo. L’immagine propinata dallo schermo di un televisore, di un computer, di uno smartphone, di un ipertecnologico orologio da polso, è la vera padrona del nostro secolo. Una luce artificiale composta di tutto ciò che i nostri occhi bramano e che il nostro corpo scopre di desiderare. L’immagine luminosa ci rende dipendenti dalla sua bellezza e dal suo inconfondibile sfavillio. L’oggetto che produce la luce dell’immagine – sia esso un televisore, un computer, un cellulare -, un tempo creato per essere sfruttato dall’uomo e per semplificarne la vita, è diventato esso stesso macchina manipolatrice, capace di creare nuovi bisogni, nuovi desideri a cui l’uomo, per giunta, non può sopperire autonomamente. È la dialettica servo-padrone di Hegel: l’uomo ha creato un servo perché da padrone potesse governare il mondo senza grandi sforzi, ma, in ultima analisi, è il servo ad aver assoggettato il suo padrone, che non è più in grado di cavarsela da solo. L’uomo ha delegato il proprio lavoro manuale e intellettuale ad un ammasso di materiale non riciclabile avvolto in una cover multicolore e con un cervello estraibile.

1_e_david-cronenberg-_cosmopolis-e1335334917122Le nostre esistenze sono irrimediabilmente intrappolate in non-luoghi extrasensoriali, fatti di illusioni, promesse, luci artificiali, disastri ecologici camuffati dai cartelloni pubblicitari in desiderio irrefrenabile di comprare, consumare, dimenticare e poi desiderare ancora di più. I nostri bisogni, il nostro lavoro, il nostro piacere sono intrappolati nella luce di stelle probabilmente giàmorte. Esattamente come Eric, viaggiamo a bordo delle nostre grandi illusioni di grandezza e, storditi dal caos che ci circonda, vaghiamo alla ricerca di un porto sicuro.

3.  Le cose

“Raccolgo gli oggetti, è vero, dai marciapiedi.

Con gli scarti della gente si potrebbe costruire una nazione”

L’induzione all’acquisto e al consumo propinata dall’immagine luminosa ha determinato nel corso degli ultimi decenni una sovrapproduzione di “cose”, di cui spesso non comprendiamo nemmeno la reale utilità.

Don DeLillo, che per lunghi anni ha lavorato nel settore della pubblicità, si sente molto legato a questa tematica della società che crea bisogni e distrugge il pianeta.  Le sue pagine dedicano un ampio spazio carico d’angoscia e apprensione al destino dell’umanità, che, senza accorgersene, affoga in un mare di oggetti che crede indispensabili.

In Cosmopolis, DeLillo si sofferma con brevi, ma efficaci riflessioni, sul tema dell’accumularsi delle “cose” nel mondo:

 “Pensò all’accumulo, al brulicare di materia, giorni e notti di auto in fila indiana, semaforo rosso, semaforo verde, alla fissità delle cose, all’obsolescenza, cose che passavano perlopiù inosservate”.

I bisogni generano consumi, ma, al giorno d’oggi, è come se avvertissimo il bisogno di consumare. L’obsolescenza, la facilità con cui un oggetto non è più di nostro gradimento, è una delle principali conseguenze dell’invasione coatta della pubblicità in ogni sorta di media.

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In Underword, l’accumulo eccessivo ed inconsapevole di oggetti – cui segue un eguale accumulo di spazzatura – è una delle tematiche portanti del romanzo. Ecco, come DeLillo descrive la vista della discarica in cui lavora uno dei suoi personaggi:

“Brian ebbe un attimo di illuminazione. Guardò tutta quella spazzatura in perenne aumento e per la prima volta capì in cosa consistesse il suo lavoro. Non in progettazione o trasporto o riduzione alla fonte. Lui si occupava di comportamento umano, delle abitudini e degli impulsi della gente, dei loro eccessi e delle loro debolezze ma anche della loro gentilezza, della loro generosità, e la domanda era come impedire a questo metabolismo di massa di sopraffare l’umanità.”.

DeLillo si chiede quasi esplicitamente: “saremo sommersi dai nostri stessi consumi?”, ma non cerca una risposta, né una causa. La sua parola si insinua nelle mente del lettore generando un senso d’angoscia e di colpa. È indubbio che la società moderna ci ha imposto dei nuovi bisogni, ma potremmo mai rinunciare a oggetti che hanno inevitabilmente migliorato la nostra vita? Un esempio di questo tipo di dubbio si legge in un’altra scena di Underword, in cui due uomini si ritrovano in un negozio che vende esclusivamente preservativi: “questo ricavato tecnologico che secondo loro avrei dovuto avvolgermi intorno al pisello”. Mentre i due personaggi si interrogano sull’odore del lattice, DeLillo scartabella una serie di odori legati agli oggetti moderni che, come il preservativo, hanno cambiato le nostre vite in positivo:

“Scartò il preservativo e lo scosse finché l’estremità a capezzolo ondeggiò leggera nella brezza. Poi lo appallottolò nel pugno e se lo mise sotto il naso. Di cosa profuma? – disse. – Di tenda da doccia? Di tappezzeria d’auto o di paralume? O di quei grossi sacchi per indumenti dove si ripongono i vestiti che non si mettono mai? […] Pensò che potesse trattarsi dell’odore dell’involucro di plastica a bolle che avvolge i computer nuovi appena tolti dallo scatolone di imballaggio. Oppure era l’odore dello scatolone. O del computer stesso. O dei sacchetti di plastica rimasti troppo a lungo nel freezer, ad assorbire esalazioni di Freon. Pensò che forse era odore di ospedale, odore di laboratorio, di esalazioni di stabilimento chimico. Non riusciva a collocarlo con esattezza. L’isolamento termico delle pareti. Il filtro dell’aria condizionata.”.

Il problema su cui si arrovellano le pagine più intense della narrativa di DeLillo è l’impossibilità di considerare un miglioramento nella vita dell’uomo utilizzando sistemi di pensiero più ampi, che vadano oltre la quotidianità e la sopravvivenza giornaliera. Tutti questi oggetti migliorano la nostra vita, ma generano un accumulo di spazzatura per la quale non c’è più spazio. Fino a che punto il progresso ci sta realmente aiutando?

Il controsenso dello sviluppo scientifico e tecnologico della società contemporanea è, senza dubbio, uno dei dilemmi su cui la scrittura di DeLillo si interroga maggiormente, regalandoci alcune delle pagine più interessanti della narrativa americana degli ultimi cinquant’anni.

Conclusioni

Cosmopolis è un libro che consiglierei a chiunque. Attraverso questo romanzo, DeLillo riesce a tradurre i pensieri, i dubbi, le vite di ognuno di noi con il linguaggio accattivante del suo stile. Non è sicuramente il suo miglior romanzo; personalmente ho amato molto di più Underworld, ma si tratta comunque di un modo per avvicinarsi alla scrittura di uno degli autori più significativi dei nostri anni. Cosmopolis ha una trama più appetibile rispetto ad Underworld, o semplicemente più lineare e comprensibile, questo è il motivo per cui consiglierei di iniziare da qui per scoprire Don DeLillo. L’idea di un giovane uomo d’affari che viaggia nella sua limousine nella città più importante del mondo, stuzzica con maggiore facilità l’interesse del lettore.

Non parlare del film ispirato a Cosmopolis, diretto da David Cronenberg nel 2012 e recante lo stesso titolo del libro, è stata una scelta consapevole. Non l’ho ancora visto per motivazioni del tutto personali: non amo guardare film tratti da romanzi che ho finito di leggere da poco. Ho bisogno di un po’ di tempo per non confondere le immagini create dalla mia mente con quelle su pellicola. Ci tenevo comunque, per completare il mio discorso, a segnalare l’esistenza del film.

Anna Fusari

Bibliografia

Auerbach E., Mimesis, vol I-II, 2000, Torino, Einaudi.

Calabrese S., www.letteratura.global, 2005, Torino, Einaudi.

DeLillo D., Cosmopolis, 2006, Torino, Einaudi.

DeLillo D., Underworld, 1999, Torino, Einaudi.

 

Sitografia

http://www.parodos.it/biografie/don_delillo.htm

http://www.fedoa.unina.it/1753/1/Paravizzini_Filologia_Moderna.pdf

 

 

 

[1] Cfr. Calabrese S., www.letteratura.global, 2005, Torino, Einaudi.

[2] Cfr. Auerbach E., Mimesis, vol I-II, 2000, Torino, Einaudi.

 

Anna Fusari frequenta un Master in Editoria, Giornalismo e Management Culturale a Roma. Inizia gli studi universitari in Lettere Moderne a Napoli e continua con un Double Degree in Filologia Moderna tra Padova e Grenoble. Dopo una lunga tappa francese a Montpellier, torna in Italia per realizzare il sogno di trasformare in lavoro la sua più grande passione: i libri.

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