Pastorale Americana è uno dei più noti e venduti romanzi della letteratura americana, grazie al quale nel 1997 Philp Roth ha vinto il premio Pulitzer. Dal 20 ottobre 2016 è diventato anche un film, diretto e interpretato da Ewan McGregor al suo esordio come regista.
Non è certo una scelta facile questa di esordire con l’adattamento di American Pastoral, un’opera nota, monumentale, forse troppo dark per un pubblico cinematografico. Adattare un tale colosso della letteratura al linguaggio del cinema significa riuscire a rendere l’atmosfera, le emozioni, le sensazioni, i pensieri e il non detto che aleggia in tutta la storia non usando le parole ma le immagini, gli sguardi degli attori e le loro interpretazioni.
La storia parte già dal suo titolo: Pastorale Americana (American Pastoral) si riferisce al Giorno del Ringraziamento che rappresenta probabilmente l’unica occasione nella quale i cittadini americani si incontrano. Il termine “pastorale” in arte, letteratura, arti visive e musica, si riferisce alla rappresentazione di un soggetto campestre in cui villaggi di campagna, pastori, animali e il paesaggio stesso vengono raffigurati in maniera idealizzata, spesso alludendo ad atmosfere idilliache e mitiche. In Pastorale Americana questi elementi si ritrovano tutti, soprattutto nelle ultime pagine, dove ci sono dei passi che descrivono in maniera lirica il paesaggio che circonda il nostro protagonista incontrastato: lo Svedese.
Un paesaggio assolutamente idilliaco, mentre seduti intorno al desco per il pranzo del ringraziamento fra i nostri personaggi, che abbiamo seguito per quattrocento pagine, si sta consumando una guerra intestina. O almeno si sta consumando nel cervello del nostro protagonista che si vede crollare tutto intorno:
[…]Per giunta sul terreno neutrale e sconsacrato, quando tutti mangiano le stesse cose […] un tacchino colossale che le sazia tutti […]Una moratoria sui cibi stravaganti, sulle curiose abitudini e sulle esclusività religiose, una moratoria sulla nostalgia degli ebrei, una moratoria su Cristo. Una moratoria su ogni doglianza e su ogni risentimento per tutti coloro che in America diffidano l’uno dell’altro. È la pastorale americana per eccellenza e dura ventiquattr’ore
Sin dalle prime pagine appare evidente una caratteristica di questa opera presente anche in altre opere di Roth ovvero l’intreccio dei personaggi. Esiste un personaggio/voce narrante nella prima parte del romanzo, Nathan Zuckerman, alterego dello scrittore, già presente nello stesso ruolo di narratore o protagonista in altri suoi romanzi.
La storia raccontata è quella di Seymour Levov cresciuto in un quartiere ebraico di Newark, nel New Jersey, conosciuto da tutti come lo Svedese (è alto, biondo, occhi azzurri, una mascella quadrata e una particolare aria da vichingo), ha un fisico atletico e pratica diversi sport in cui eccelle, per questo considerato dai suoi compagni un semi-dio. Viene da una famiglia ebrea benestante e ben integrata nel quartiere, tutto è perfetto nella sua vita: sembra attenderlo una vita ricca di gioie familiari e di successi lavorativi. È la perfetta realizzazione del sogno americano inteso come affermazione sociale ed economica della famiglia. Cosa si può volere di più?
Uno dei prezzi che si pagano quando si viene scambiati per un dio è l’inesausta tendenza dei tuoi accoliti a sognare.
Purtroppo il futuro è sempre un’incognita. Cos’è cambiato nella vita di Seymour Levov? La risposta a questa domanda arriva solamente quando Zuckerman si reca a un raduno di ex allievi del liceo di Weequahic, dove per caso ritrova anche Jerry Levov, il fratello di Seymour. Tramite Jerry viene a sapere che il grande Svedese è morto a causa di un’operazione alla prostata non perfettamente riuscita. Apprende anche dell’esistenza della prima figlia di Seymour e Dawn: Meredith (Merry) Levov. Jerry gli racconta con parole di disprezzo di questa ragazzina apparentemente adorabile. I problemi, infatti, iniziano quando Merry cresce. Lei non riesce a parlare fluentemente a causa della sua quasi insuperabile balbuzie. I genitori interpellano i migliori medici per aiutarla a guarire, ma non capiscono che la sua vera difficoltà è quella di stare al passo con la sua famiglia “impeccabile”: per questo motivo la balbuzie sarà la sua prima arma per ribellarsi a quella tanto odiata perfezione. Gli anni Sessanta portano con se lo scoppio della guerra in Vietnam e, allo stesso tempo, l’astiosa e ribelle Merry, è più che decisa a portare la “guerra” anche nella sua famiglia, spezzando e distruggendo quel meccanismo idilliaco perpetuato dalla società americana.
Raccontata la storia, può sembrare un racconto come tanti, invece questo libro non è solamente un viaggio attraverso le vicende di Newark, la città natale di Roth, è qualcosa di più, qualcosa che esce dai confini dell’America per arrivare fino alla nostra realtà quotidiana. In molti passaggi, più che un romanzo, Pastorale Americana sembra un saggio di sociologia con tante analisi e riflessioni che trovano conferma anche nelle nostre vite e in ciò che ci circonda. Saper stare al mondo al meglio delle proprie capacità, rimanendo al passo con la storia. Riuscire a stare a galla in una società carica di illusioni e convenzioni morali conservatrici; il tema dell’affermazione del sogno americano e del suo successivo e completo disfacimento; Un susseguirsi di generazioni che trovano il loro posto nella società, mirando all’affermazione dell’io e della famiglia, lottando contro i valori e il continuo progresso; Queste sono solo alcune delle tematiche affrontate in Pastorale Americana. Protagonisti reali di tutta la storia sono la lotta e il disagio interiore che ognuno si trova a dover affrontare man mano che le cose cambiano e la vita va avanti. Ognuno ha un’immagine di se stesso e degli altri, il confronto con gli altri è sempre più difficile, ma finché i fatti non ci obbligano a guardare in faccia le cose tendiamo a considerare che tutto sia semplice. Nel romanzo questo atteggiamento negazionista fa in modo che il padre non riesca a farsi un’idea di come la figlia possa essere diventata quello che è, deve per forza trovare un motivo scatenante e cerca, scava nel passato per capire dove può avere sbagliato, oppure deve essere stato qualcun altro ad aver soggiogato la bambina, quella figlia ideale così ben allevata con tutte le cure del caso, in una famiglia da sogno. Gli anni passano cercando un motivo scatenante o un colpevole, ma il pensiero ricorrente è sempre lo stesso: come potevano lui e sua moglie essere all’origine di tutto ciò che era diventata la figlia? Come potevano aver contribuito a produrre quell’essere umano così diverso da loro? Tutti questi conflitti animano la mente dello Svedese, il protagonista principale del romanzo, domande alle quali non trova risposta, e mai arriva a pensare che non deve esserci per forza una causa, un motivo. Ci sono cose delle quali siamo responsabili e ci sono cose per le quali non possiamo essere determinanti in nessun modo e in nessuna maniera.
Viste da lontano tutte le persone possono sembrare più o meno uguali, più o meno felici, ma più ci si avvicina e più si può scoprire la storia di ognuno, quella che rende ogni persona complessa e irraggiungibile. Un passaggio nel libro dice:
Lotti contro la tua superficialità, la tua faciloneria, per cercare di accostarti alla gente senza un carico eccessivo di pregiudizi, di speranze o di arroganza…; offri il tuo volto più bonario camminando in punta di piedi e l’affronti con larghezza di vedute da pari a pari e tuttavia non manchi mai di capirla male. La capisci male prima d’incontrarla, la capisci male mentre sei con lei; poi vai a casa, parli con qualcuno dell’incontro e scopri ancora una volta di avere travisato. Poiché la stessa cosa capita in genere anche ai tuoi interlocutori, tutta la faccenda è veramente una colossale illusione priva di fondamento, una sbalorditiva commedia degli equivoci. Come dobbiamo regolarci con questa storia che assume ogni volta un significato grottesco? Devono tutti chiudere la porta e vivere isolati come fanno gli scrittori solitari che creano i loro personaggi e poi li fanno passare per persone vere? Capire bene la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando. Forse la cosa migliore sarebbe dimenticare di aver ragione o torto sulla gente e godersi semplicemente la gita. Ma se ci riuscite… Beh, siete fortunati.
Uscendo dal romanzo e arrivando al film, ci si trova davanti una serie di scene didascaliche, piatte, una sorta di sinossi del romanzo senza mai addentrarsi nelle profondità delle tematiche appena superficialmente accennate; si lasciano sullo sfondo i conflitti e i disordini dell’America negli anni ’60, affondando pesantemente sul ruolo del protagonista interpretato da McGregor il quale si limita a camminare sul filo sottile della storia evitando gli eccessi melodrammatici a cui la trama del romanzo si presta, ma non offrendo alcun valido sostituto continua la narrazione in inquadrature statiche. Il lento scorrere del tempo nelle vite di due genitori distrutti dall’assenza della figlia non è mai tangibile, la deriva che prende la moglie interpretata da Jennifer Connelly è solo accennata da non incidere un solco secco e profondo nella storia e favorendo quelle critiche che spesso sono state mosse a Roth sui suoi personaggi femminili che vengono usati solo come desiderio sessuale, e oggetti. Come se nulla contasse particolarmente, American Pastoral porta avanti la sua trama in maniera composta ed ordinata, un film ordinario che non approda a nulla; forse un atteggiamento più sconsiderato e creativo avrebbe giovato, se non altro per quel pubblico che non avendo letto il romanzo, alla sola visione del film non capirebbe come mai da tanti è considerato un capolavoro il libro dal quale è tratto, per quale motivo rappresenterebbe l’America di ieri e di oggi, quando poi quest’America si è un po’ persa nella sfumatura del film.
(Alert Spoiler) profonda delusione ha poi lasciato anche il finale scelto per il film. La grandezza di Pastorale Americana di Philip Roth è anche in quel finale, nella capacità di chiudere un libro di 400 pagine con una domanda totalmente assente nel film.
Cosa c’è di meno riprovevole della vita di Levov?
Anna Chiara Stellato
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Concordo pienamente con le tue valutazioni sul romanzo, che hai molto ben espresso nella recensione. Il film non l'ho visto e, a questo punto, direi che non mi sono persa niente. ;)
Ti ringrazio 😊 beh puoi sempre vederlo il film e poi dirmi se ti trovi anche con quella opinione 😊
mah... dato che vedo pochi film, preferisco andare sul sicuro!