Lo scenario iniziale è questo: tre ragazzi disertano l’esame di maturità e decidono di organizzare un viaggio a Londra, lasciando di punto in bianco Torino. A Londra il protagonista, insieme a il Bardo e Schopenhauer, aveva abbordato delle ragazze di Green Park. Ma una sera Anne, una delle ragazze, viene trovata assassinata e Schopenhauer si accusa dell’omicidio.
Cos’era accaduto davvero a Londra nel 1998? Il lettore lo scoprirà lungo tutto il romanzo attraverso i ricordi dei protagonisti.
Tutto ha inizio una sera, in un locale, durante una di quelle solite feste tra vecchi compagni di liceo. Facebook permette a tutti quei compagni di scuola che avevamo perso di vista inevitabilmente di ritrovarsi, di mettersi in contatto e invitarsi a delle rimpatriate. È ciò che succede anche al protagonista di Malabaila, che nell’immediato vuole far finta di non aver ricevuto il messaggio ma, alcuni giorni dopo, decide di partecipare all’evento, soprattutto per vedere quanto sono cambiati i suoi ex-compagni.
È il tempo che si innesta come presenza inamovibile. La distanza di quei quindici anni che non sembra possibile varcare – non a ritroso – se non attraverso una ricostruzione, uno sguardo dall’esterno di chi quegli anni li aveva vissuti. Dopo quindici anni, grazie proprio a quella rimpatriata, il protagonista, il Bardo e Cantagalli, un loro compagno del liceo che non era tra i più amati, decidono di ripercorrere le tappe del viaggio fatto nel 1998 spinti soprattutto da un desiderio di chiarezza. Erano stati troppo giovani, troppo spaventati, per indagare su come erano realmente andati i fatti o semplicemente per chiedere aiuto. Così, ritornati a Torino da quel mitico/tragico viaggio a Londra, erano tornati anche alle loro solite vite, cercando di condurre un’esistenza quanto meno normale, di dimenticare. Il tempo è andato avanti: in quindici anni c’è infatti chi si è sposato, chi fidanzato, chi ha ormai avviato una brillante carriera professionale, chi è diventato avvocato, chi giornalista precario. In quindici anni sono cambiate tantissime cose, nel bene e nel male. Ma i tre compagni sono ancora a cavallo fra loro stessi di quell’anno lontano e ciò che dovrebbero essere.
Nel loro ritorno al passato, Londra è diversa, ci sono locali che non esistono più, negozi nuovi, palazzi diversi. Tranne alcune cose che non possono cambiare e che restano per i tre protagonisti delle tappe fondamentali: le strisce pedonali di Abby Road e I coniugi Arnolfini intrappolati alla National Gallery. Immutato resta il loro fare adolescenziale, il non volersi prendere mai la responsabilità di alcune azioni, che si tramuta in questo spirito, decisamente fuori luogo per tre adulti, che li accompagna durante tutta l’indagine.
Anche l’indagine appare piuttosto goffa, non esiste un piano ben preciso, non sono dei detective, ma delle persone comuni che tentano di risolvere un omicidio e un suicidio in uno stato estero dopo tanti anni. I tre protagonisti decidono di impostarla in modo semplice, focalizzandosi solo su un preciso tipo di ricerca, che porta alla creazione di quella che potremmo chiamare una “mappa mentale”. L’indagine è solo il catalizzatore, ripercorrere determinate tappe serve a tirare fuori quei fantasmi del passato, a farci in qualche modo i conti e lasciarsi definitivamente alle spalle l’adolescenza, che pare ancora essere ingombrante nella vita dei tre protagonisti, a causa della precarietà dei nostri tempi.
E forse, al di là della piacevolezza della lettura, ciò che davvero colpisce di Green Park Serenade è la capacità di Malabaila di coniugare uno stile ironico, diretto, colloquiale, a un romanzo di formazione fuori tempo massimo, a un tentativo di crescere quando il mondo già ti considera adulto. L’alternarsi di due piani narrativi – 1998 e 2013 – veicola bene questo confronto. Le parole scelte per i botta e risposta tra i protagonisti trasmettono la malsana intenzione di voler restare quei pazzi adolescenti del ’98, e nonostante questo, la voglia di far chiarezza in un episodio terribile del passato dimostra maturità. È caratteristica dei bambini fuggire davanti al mostro nell’armadio. Gli adulti, pur con qualche brivido lungo la spina dorsale, aprono le ante e scoprono che non c’era niente, dentro. Forse solo uno specchio. Forse solo quei mostri che sapevamo già di avere dentro di noi.
Anna Chiara Stellato
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