«Danielle, tesoro.» Mi siedo accanto a lei. Le bacio la fronte mentre le accarezzo i capelli bagnati. «Adesso devi fare una cosa per me. Lo vedi quel signore?»
Lei fa cenno di sì con la testa, incuriosita dal compito che voglio darle.
Le prendo la mano. «Vieni con me. Adesso ti spiega tutto la mamma. Tesoro mio.»
«Chi è quel signore?» dice Danielle.
«Ma come chi è? Quello è Pablo Picasso, piccola mia. E noi siamo innamorate dei suoi splendidi quadri.»–Quando cadono le stelle [Gian Paolo Serino, Baldini&Castoldi, 2016]
Il primo approccio a un testo è sempre dato dalle sue informazioni paratestuali. La copertina, il titolo, la quarta. La scheda che magari leggiamo sul sito dell’editore. Ed ecco che Quando cadono le stelle di Gian Paolo Serino è un romanzo. È un’informazione che diamo per assodata. Poi comincia la lettura, e l’antico spettro del rapporto a due torna a farci visita.
Questo libro è davvero un romanzo? Un romanzo corale, come mi è capitato di sentirlo chiamare. Se non avessi avuto queste informazioni preliminari, forse avrei detto senza troppi problemi che Quando cadono le stelle è una raccolta di racconti. Una serie di quadri sul dark side of the moon, dove la luna, questa volta, è il mondo delle stelle, delle persone famose. Abbiamo il racconto su Picasso – di cui abbiamo riportato in apertura uno stralcio –, quello su Poe, quello su Kafka, e così ad andare avanti con altri nomi di rilievo.
Una raccolta di racconti che l’autore chiama romanzo. Per onestà intellettuale non possiamo andare dall’autore e dirgli: “Guarda, hai preso una cantonata. Non sai cosa hai scritto“. La critica è un’operazione postuma, segue sempre, non anticipa mai. E allora bisogna giocare in quella dualità che domina la nostra esperienza. Dare per sensate entrambe le impressioni e cercare di riunirle in un’unica visione complessiva delle cose.
Con questo approccio ho portato avanti la lettura del libro. E allora il romanzo di Serino è sì fatto da quadri, ma non quadri appesi casualmente alle pareti di casa – anche se magari stanno bene insieme perché tutti impressionisti, o romantici, o surrealisti – ma quadri scelti e raccolti in una mostra, dove il visitatore deve seguire un certo percorso per arrivare dal punto d’ingresso a quello d’uscita. I quadri di Serino sono frammenti di un’unica esperienza complessiva. I frammenti sono racconti, quell’unica esperienza è il romanzo.
Mi sono dilungato – forse troppo – sulla questione, perché ritengo sia importante comprendere quest’ultimo punto, e cioè che il libro, per quanto frammentato, va letto come un’unità indissolubile.
Affrontiamo, di testo in testo, il lato nascosto dello star-system, attraverso esempi celebri e documentazione. Un lato nascosto, si badi, che non significa negativo, truffaldino, criminale. Non è – necessariamente, almeno – il cogliere il grande pittore con le mani nella marmellata. È il riconoscere in fin dei conti la loro umanità. Riconoscere che al di là della fama sono esseri umani che affrontano la loro vita con problemi diversi dai nostri, forse, ma che allo stesso modo tendono le loro difese e li lasciano senza fiato.
Forse l’esempio più calzante di quanto si dice qui è il pezzo su Cary Grant, dove la madre non lo riconosce come figlio, ma come personaggio famoso. La fama, allora, non è il grande obiettivo raggiunto, l’utopia di pochi eletti, nel libro di Serino. Diventa invece un qualcosa che genera a sua volta problemi. Un po’ come ci ricorda Stan Lee con il suo “da grandi poteri derivano grandi responsabilità“. La fama porta qui a essere inglobati nel personaggio (e sulla distinzione persona/personaggio andrebbero spesi fiumi di parole anche solo nell’ambito della narrativa), a non riconoscersi, a non essere riconosciuti, a costruire un idolo a cui dare il proprio nome e credere per tutta la vita di essere fatto proprio in quel modo.
Quando cadono le stelle è un romanzo di pettegolezzi, se vogliamo, cioè di informazioni poco note su persone famose. Ma è un romanzo sulla vita di chi spesso è dall’altra parte di uno schermo, e noi tendiamo a immaginarcelo lì, nel mondo fittizio e aureo della televisione, nella turris eburnea delle lettere, quando invece calcano le nostre stesse strade. È un romanzo, insomma, sulle persone. Possiamo chiamarli Kafka, Picasso, King, Kennedy. Ma possiamo anche togliere loro quel nome e vedere come affrontano la vita che quel nome benedetto e maledetto sta servendo loro. Su un piatto d’argento, forse. Ma in fondo, se ci pensiamo bene, anche il piatto ha due facce. A noi scegliere quale guardare.
Maurizio Vicedomini
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