La Terra è ammalata di cancro e noi uomini siamo le cellule impazzite di questo tumore. L’origine della malattia risiede nelle nostre accresciute capacità cerebrali che nel corso dei secoli ci hanno spinti a depredare il pianeta in modo sempre più violento.
Questa è la teoria al centro del saggio di Bruno Sebastiani Il cancro del pianeta edito da Armando editore.
L’idea di un inesorabile declino del nostro mondo è alla base di antiche tesi di filosofi, teologi, uomini politici e scienziati. Da anni ormai ogni forma di arte ha cercato di tratteggiare cause e sviluppi negativi e a volte catastrofici della nostra specie prendendo in prestito simboli e metafore dall’antica mitologia.
Sebastiani nel suo saggio enuncia in modo chiaro e diretto la dottrina uomo=cancro del pianeta espressa finora solo in forma di aforisma. Trovarsi di fronte a tale definizione può risultare indubbiamente pesante da digerire, ma non va presa in senso letterale; l’umanità non è una cellula tumorale stricto sensu; l’analisi del progresso, presentata nel testo con una dovizia di particolari, sviluppi storici, accortezza dei dati, ma anche con tanta agitazione pessimistica, ha condotto a tale assunto.
Lungo i capitoli Sebastiani declina le perversioni dell’urbanesimo, della catena industriale e postindustriale, fino ai vorticosi effetti della tecnologia moderna partendo da una premessa che pone un marchio pesante e catastrofico su tutto il nostro futuro: l’evoluzione umana sarebbe, in realtà, una involuzione mascherata. Dallo stato di natura in poi, l’uomo non avrebbe fatto altro che progredire ma, allo stesso tempo, lasciare dietro di sé macerie di qualunque tipo, essenzialmente legate a ciò che definiamo “gli antichi valori”. Ed ecco perché Sebastiani arriva all’idea di cancro. L’autore, rispetto al pensiero di tanti altri che si sono limitati a denunciare l’opera nefasta dell’uomo, cerca anche di individuare l’origine della malattia, la cosiddetta “carcinogenesi”, che risiede appunto nell’evoluzione del nostro cervello sia dimensionalmente sia come “potenza elaborativa”, sino a quando è stato in grado di contravvenire alle leggi di natura, di farci assumere comportamenti “artificiali” tutto ai danni degli altri esseri viventi come piante e animali, che abbiamo sottomesso brutalmente proprio come fanno le cellule tumorali nei confronti delle cellule sane nel corpo dell’ammalato. Ci siamo lentamente evoluti in modo tale da assumere comportamenti in contrasto con quelli suggeriti dalla natura e, ciò che è peggio, della nostra superiorità intellettuale abbiamo fatto un vanto, il maggior vanto della nostra specie.
Sebastiani nella sua analisi non solo cita risultati negativi del progresso come la deforestazione, l’effetto serra, la contaminazione dei suoli, l’inquinamento ma soprattutto quelli che rientrano nelle responsabilità tipiche dell’uomo moderno ma considerati sommamente positivi. L’uomo avrebbe messo da parte la salvaguardia di basilari equilibri del pianeta, e l’avrebbe modificato in maniera prima marginale poi via via in modo sempre più totalizzante nella continua corsa verso il concetto di utilità. Ora secondo l’autore saremmo vicini a un punto di non ritorno e dunque come si potrebbe uscire da questo “alone di pessimismo cosmico”? La risposta è alquanto apocalittica: Non se ne esce. Ci resta solo la possibilità della resistenza passiva.
Per Sebastiani il tumore del nostro pianeta è l’uomo. L’uomo gode delle distruzioni effettuate esattamente come le cellule cancerogene di un tumore maligno possono godere del male arrecato alle parti sane dell’organismo in cui vivono, sino a che l’organismo muore e con esso anche le cellule malate. Ecco, alla fine il pianeta resterà senza forme di vita superiori, poi lentamente si riprenderà. Se le condizioni ambientali poco alla volta, milione di anni dopo milione di anni, torneranno ad essere favorevoli allo sviluppo della vita, questa lentamente rinascerà ma non sarà il nostro mondo, quello che ormai abbiamo rovinato per sempre.
Anna Chiara Stellato
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