Ciò che avvenne la sera del 29 ottobre 1969 nella stanza 3420 della facoltà di Scienze dell’UCLA (l’Università della California) contribuì involontariamente all’avvio di una delle più grandi rivoluzioni che gli uomini abbiano mai vissuto. Erano le ore 22:30 quando, tramite ARPANET – la primissima rete progettata e realizzata per volere del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti – il professore Leonard Kleinrock e il suo programmatore Charley Kline inviarono il primo messaggio dal loro computer a quello di un altro programmatore, Bill Duvall, collegato presso l’SRI (l’Istituto di Ricerca di Stanford). La trasmissione era semplicemente una richiesta di login sul computer dell’SRI da parte dell’UCLA. Tuttavia dopo l’invio della “l” e della “o” il computer di Stanford andò in crash. Perciò il primo messaggio mandato via Internet fu “lo”. Come in “lo and behold”, espressione che significa “guarda e ammira” e che dà il titolo al recente documentario del regista tedesco Werner Herzog (“Lo and Behold – Internet: il futuro è oggi”), presentato in anteprima al Sundance Film Festival 2016.
Ed è proprio il pioniere di Internet, l’informatico Leonard Kleinrock, a guidare la troupe in questa esplorazione del mondo del web, un’odissea nel cyberspazio che si snoda in dieci fondamentali tappe. Il primo capitolo del viaggio inizia, infatti, con il disvelamento del primo computer, conservato come una reliquia nelle stanze dell’Università della California, e prosegue con la testimonianza di Bob Kahn – progettista non solo del sistema ARPANET, ma anche di una rete radio simile a quella dei cellulari di oggi e una rete satellitare – e quella del visionario Ted Nelson, che agli inizi degli anni sessanta, quando ancora si facevano soltanto speculazioni su un mondo “connesso”, propose per primo il concetto di ipertesto. Nel secondo capitolo Sebastian Thrun, inventore della piattaforma educativa online “Udacity”, ci introduce al mondo delle automobili a guida autonoma, mentre Joydeep Biswas, informatico della Carnegie Mellow University di Pittsburgh, illustra il progetto di una squadra di calciatori robot programmati per battere entro il 2050 i campioni del mondo FIFA. Il capitolo III mette in evidenza il lato oscuro del web, approfondendo in particolare la questione della privacy post-mortem. Il quarto capitolo, invece, mostra un comunità rurale a ridosso di un osservatorio che ha isolato qualsiasi segnale wireless nel raggio di 15 chilometri e che, grazie all’assenza totale di smartphone, ha cementificato il senso di solidarietà e coesione sociale. Successivamente viene presentato un centro per la disintossicazione da Internet in un bosco idilliaco non lontano da Seattle, dove “internauti anonimi” curano morbose dipendenze da videogame e affrontano vere e proprie crisi di astinenza. Nel quinto capitolo Herzog, tramite la testimonianza di astronomi e cosmologi, mostra la vulnerabilità della civiltà moderna a eventi naturali come i cosiddetti “brillamenti solari”, in grado di provocare tempeste geomagnetiche che cancellerebbero dalla faccia della Terra centinaia di milioni di persone la cui vita è dipendente in maniera indissolubile dall’“internet delle cose”. La questione degli attacchi informatici come estensione della politica estera e il caso del re degli hacker, Kevin Mitnick, occupa interamente il sesto capitolo, mentre nel capitolo VII l’imprenditore Elon Musk, creatore di SpaceX, illustra il suo progetto di viaggi su Marte. Il capitolo VIII delinea il futuro dell’intelligenza artificiale, dimostrando come un robot potrebbe persino scongiurare disastri come quelli di Fukushima. Il nono capitolo presenta riflessioni sulle sorti dell’attuale civiltà cibernetica, sollevando interrogativi sulla possibilità di creare una rete di “internet personali” in eterna connessione tra loro o sulla necessità di ricorrere a strumenti che impediscano la perdita di qualsiasi traccia materiale in caso di catastrofe planetaria. Infine nel capitolo conclusivo gli esperti interpellati discutono circa il futuro di Internet, delineando uno scenario in cui le informazioni saranno più importanti delle persone, sarà possibile twittare pensieri e la compagnia di un robot sostituirà quella di un altro essere umano.
Può apparire singolare il fatto che un artista come Herzog, che ha recentemente dichiarato di utilizzare Internet soltanto per consultare le e-mail (con qualche sporadica incursione su Google Maps) e di non possedere nemmeno un cellulare, abbia realizzato un documentario sul mondo digitale contemporaneo, prendendo le mosse da interrogativi quali “Che cos’è Internet oggi?” o “Che ruolo ha nelle nostre vite e come influirà sul nostro futuro?”. Eppure è proprio il privilegiato sguardo di incanto e deliberata ingenuità che ha permesso al maggior esponente del Nuovo cinema tedesco di approcciarsi a questa avventura cibernetica con il dovuto distacco, libero dall’urgenza di dover denunciare o fare apologia – seppur lasciando trasparire una certa soggettività e parzialità nel metodo di indagine. Abbandonati gli scenari immaginifici e naturalistici di “Grizzly Man”, “Encounters at the End of the World” o del più recente “Into the Inferno”, Herzog si inoltra nell’universo asettico del web, senza però mai rinunciare alla ricerca di quella “verità estatica” che giace dietro i puri fatti, ponendo costantemente l’attenzione sulle persone che stanno dietro i testimoni. Herzog non si eclissa mai del tutto dalla narrazione, ma al contrario interviene spesso con commenti fuori campo (“Ma chi sarà il responsabile in caso di incidente? Il computer di bordo? Chi l’ha progettato? Il sistema GPS? Internet? O il conducente che intanto fa colazione?”) o con insoliti quesiti che pone ai suoi interlocutori (“Quanto è prezioso uno scarafaggio per lei?”). L’esito è spiazzante, i risvolti a tratti inquietanti, a volte persino ironici – come nella scena in cui viene inquadrato un gruppo di monaci zen che passeggiano in riva all’oceano coi capi chini sui loro smartphone.
Ad ogni modo gran parte delle domande venute a galla durante le conversazioni rimangono inevase e le risposte vengono rinviate ad un futuro non troppo lontano. La contagiosa curiosità di Herzog spinge a chiederci se l’incessante progresso tecnologico ci condurrà su Marte o alla distruzione. Ma poco importa se una soluzione non c’è – sembra suggerirci il regista. Ciò che conta è ampliare lo sguardo sul presente, senza dare mai per scontata la pervasività di un “organismo” come Internet in grado di inglobare, manipolare, atterrire e reincantare. E forse un giorno anche di sognare sé stesso.
Valerio Ferrara