Letteratura di consumo e l’importanza del contesto
Questo articolo prende il via da un video di Martino Santillo per Legenda Letteraria, in cui si affrontava lateralmente il libro di Chiara Francini, edito per Rizzoli. Non avendo letto il libro, io non lo affronterò affatto, ma raccolgo lo spunto finale:
“La mia domanda è questa: ma forse effettivamente è questa la letteratura di cui la gente ha bisogno?”
Si parla, all’interno del video, di una certa narrazione ricca di cliché, con intrecci simili gli uni agli altri, leggeri, scarsamente impegnativi. Eppure questa è la narrativa che riempie le librerie durante le presentazioni, anche librerie più di periferia, e questa è la narrativa che poi effettivamente vende.
La domanda è interessante, perché il primo approccio che si ha, in genere, davanti a letteratura commerciale e buone vendite è quello di attaccare la scarsa preparazione letteraria del lettore. Il lettore – insomma – sarebbe ignorante e questo lo porterebbe ad apprezzare libri come questi e non i grandi libri.
È interessante, dicevo, perché questo approccio comune è certamente falsato da una certa predisposizione a giocare in compartimenti stagni, a considerare letteratura di serie A e B (e C, e così avanti) senza contesto, come se ci fosse un ordine naturale delle cose entro cui si inseriscono i libri, le storie che raccontano e i loro autori.
Sono convinto che un contesto, invece, sia fondamentale. E in questo caso sarebbe qualcosa del genere:
Perché leggi?
Se vogliamo, è la domanda alla cui base c’è il fallimento dell’iniziativa Io leggo, e tu?, perché si dà per scontato che per promuovere la lettura bisogni porla su un piedistallo, e dire alle persone: se leggi, sarai migliore.
Ma tanta gente – per ritornare alla domanda – non legge affatto per questo. Legge perché è un modo che ha trovato per vincere la noia giornaliera, per riempire i tempi vuoti, per svagare la mente da giornate impegnative. Non tutti leggono per apprezzare le qualità letterarie, per la ricerca di quella letterarietà che si andava definendo qualche decennio fa.
Se la letteratura di consumo vende tanto è perché ha un target ampio. Si rivolge a quelle persone che cercano esattamente quel tipo di storie, che non hanno problemi – addirittura – a leggere più volte storie simili, che non riconoscono i cliché o che non ne sono disturbate. Si rivolge a quelle persone che troverebbero Borges troppo pesante per quello che è il loro scopo di lettura.
Il contesto, si diceva. Se il contesto è la qualità letteraria, per quanto si tratti di una caratteristica aleatoria, è certamente possibile riconoscere ampie e caotiche categorie gerarchiche. E possiamo certo dire che la letteratura di consumo non è in vetta. Ma se il contesto è l’accompagnare la giornata, lo svolgere un’attività rilassante, molti capolavori della letteratura si troverebbero al gradino più basso.
Allora, la domanda di Martino necessita una risposta più articolata di una semplice affermazione o negazione. Perché a quella domanda bisognerebbe integrare una spiegazione su qual è la gente a cui si fa riferimento, ricordando che ogni individuo cerca qualcosa di diverso nella lettura.
La letteratura di consumo è certamente ciò che la fetta maggiore dei lettori italiani cerca.
C’è qualcosa di male in questo?
Per spostarsi in altro ambito, io vado al cinema quasi solo per vedere cinecomics. Non sono un grande appassionato di film, ma quelli sui supereroi li guardo tutti. Mi divertono, mi intrattengono. Sono ciò che cerco nel cinema, un paio d’ore di svago. Ancora una volta, ci vuole un contesto.
Allora, la letteratura di consumo è ciò di cui la gente ha bisogno? Sì, gran parte della gente, almeno, se quella letteratura è ciò che le permette di raggiungere il proprio obiettivo, ciò che cerca in un libro. Poi esiste una minoranza, come me e Martino, come gran parte degli addetti ai lavori, che invece cerca altro. Forse è solo questione di prospettive. Forse chi cerca serietà nel libro ha trovato i cinecomics per svagarsi. Forse la letteratura di consumo è ciò di cui hanno bisogno quelle persone che non hanno trovato altrove un po’ di leggerezza.
Maurizio Vicedomini