Baxter e la Minneapolis di vizi e virtù
La tenne per un altro minuto. Stava tremando, o forse era lei a farlo. Alla fine la ragazza si scosse, come se colta da un pensiero. Si voltò e si arrampicò fino a dove si trovava Benny. La lasciò. Il cuore gli martellava in petto. “Va bene, mi arrendo. Saresti rimasto davvero lì a tenermi per sempre?” Gli chiese. Lui annuì. “Dunque se fossi stata lì a penzoloni nel vuoto, tu mi avresti tenuta. Lo immaginavo. Sembri robusto e tenace. Sai che cosa è incredibile? Che tu abbia pensato che ce la potessi fare.” Parlava nervosamente. “Sono un’idiota, non riesco a portare a termine nulla.” Era ancora abbracciata alla ringhiera, anche se sul lato dei pedoni, e di tanto in tanto lanciava occhiate nervose all’acqua. “Pensavi davvero che sarei saltata giù? Che lo avrei fatto?”
– Castità [In Vorrei che facessi una cosa per me, Charles Baxter, Mattioli 1885, 2017, p.58]
Se c’è qualcosa che prende piede sempre più spesso nelle raccolte di racconti contemporanee, è una certa idea di organicità. Un’interconnessione fra i testi che la compongono. Spesso in un racconto ritroviamo come comprimario – o ancora meno, un qualcosa di appena accennato – un personaggio di un altro brano della raccolta. Del tutto ininfluente ai fini della trama, ma che è lì per ricordarci che ci troviamo nello stesso mondo, che non sono storie slegate, ma un unico grande mosaico da cui l’autore ha estrapolato solo alcuni tasselli significativi.
I dieci racconti di Vorrei che facessi una cosa per me giocano agli intrecci in questo modo. Suddivisi in due parti, – virtù e vizi – presentano gli stessi protagonisti visti in diverse fasi delle loro vite mentre si avvicendano sul palco e nelle retrovie della scena. Così Elia – protagonista del primo racconto – diventa amico di Benny di alcuni racconti a seguire. E Benny racconterà di aver paura di attraversare una certa strada perché un tempo è stato aggredito. L’aggressore sarà il protagonista di un altro dei racconti. E così di seguito, in un continuo avvicendarsi di riferimenti e nomi noti. Tutto in una Minneapolis che fa da sfondo all’intero libro.
Il fatto che i personaggi compaiano come protagonisti in racconti dedicati a virtù e poi in quelli dedicati ai vizi è singolare. Soprattutto se notiamo come alcuni di essi ci vengano descritti in primo approccio come persone buone, quasi perfette. Poi c’è il risvolto, nella seconda parte del libro, che li rende umani. Un confronto, un chiaroscuro di uomini e donne dipinti in situazioni a volte realistiche a volte del tutto surreali.
“Non so cosa leggere,” gli disse Quinn, con le gambe che gli tremavano.
“Peccato,” disse Black Bird. “La prossima volta che vieni qui, portati un libro. Ho bisogno di una prova che tu esisti.”– Carità [In Vorrei che facessi una cosa per me, Charles Baxter, Mattioli 1885, 2017, p.86]
Se c’è un motivo centrale in tutto il libro, è proprio quello che gli dà il titolo. A un certo punto, in ogni racconto, c’è una richiesta. Qualcuno chiede a qualcun altro di fare una cosa per lui. È sempre quello il momento cruciale, il momento in cui uomini imperfetti si aprono alla possibilità e all’altro. Ed è una domanda necessaria perché la struttura dei racconti è sempre la stessa: una presenza che genera un’assenza. Come Benny che incontra Sarah: si innamorano, ma lei mette un veto: non potrà baciarla. Un’assenza che è una forma di castità – come il titolo del racconto nell’esempio – una rinuncia volontaria o involontaria che serve a raggiungere uno scopo o che è portata da un dovere morale da cui non è semplice divincolarsi.
I racconti di Baxter sono apprezzabili ancor di più in questo quadro unico che li unisce, perché è nella continua richiesta di aiuto, che si ripresenta incessante nei dieci racconti, che si mostra la fragilità umana. E noi, questa fragilità, l’accettiamo. E ci accontentiamo, soffrendo forse un po’, per continuare a tirare avanti giorno dopo giorno. Tutti insieme, in una grande città che ci fa da sfondo.
Maurizio Vicedomini