Figli dello stesso fango. I volti di uno spaccato generazionale
Figli dello stesso fango di Daniele Amitrano è un romanzo che si sviluppa su più piani, un intricato amalgama di storie e di generi tenuti insieme dalla figura di Andrea, un giovane della provincia romana che si ritrova a dover fare un salto spazio-temporale, da Milano a Formia, dall’età adulta all’adolescenza.
Tra le strade della città dove e nato, sotto gli occhi distratti degli adulti, si consumano storie di vite rosicchiate dalla noia e dalla desolazione di un luogo che vive d’estate e di inverno cade in letargo. Andrea e i suoi amici, “i ragazzi della fossa”, restano chiusi in un labirinto di cose uguali a sé stesse che conducono, inevitabilmente, alla ricerca di una felicità che somiglia molto al riscatto e al potere da esercitare sui più deboli, e che può passare solo per una strada, quella della droga.
Il flash back del protagonista prende i toni di un romanzo di formazione, con i temi della periferia, del primo amore che finisce prima di poterlo comprendere, delle difficoltà legate ai “doveri” che implica l’appartenenza al branco. E in questo mondo Andrea in parte non si riconosce, in parte ha un forte bisogno di appartenenza, in risposta all’esigenza di fuggire dal nucleo familiare.
Una serie di dinamiche affrontate da Amitrano – il rapporto con la periferia, con le droghe, il difficile passaggio dall’adolescenza all’età adulta del riscatto – sono le stesse già raccontate in molti romanzi “generazionali” e, più ancora, viste in molti film. Non possiamo farne una colpa all’autore, piuttosto possiamo constatare, da lettori attenti e appassionati di letteratura, che esiste un immaginario collettivo “pop” entrato nella mente di una generazione, vissuta a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, una sorta di canone, il cui “eterno ritorno” dovrebbe portare a una riflessione critica più approfondita sulla letteratura dei nostri tempi.
Altro passaggio fondamentale per la trama del romanzo e per il vissuto del protagonista è la storia d’amore con la bella ragazza di città, che avanza tra le pagine a passi lenti e ha il sapore di un’eterna lotta tra città e periferia, tra sentimenti e convenzioni. Ma il baratro, anche in rapporto alla bella Nancy, si dimostra molto profondo; l’unico rapporto vissuto in modo puro e sincero ai tempi della giovinezza di Andrea, viene toccato dallo sporco tanto che la ragazza amata diventa presenza irriconoscibile, cambiata nell’aspetto fisico e mutata rispetto al ricordo, destinato a svanire nel continuo ripetersi della storia della “generazione perduta”.
Proprio giunti a questo punto della narrazione, quando anche la cosa più pura diventa il suo contrario, si capisce che qualcosa si sta incrinando tra le righe del romanzo.
Nel racconto di questo filo spezzato dell’esistenza di Andrea e dei suoi compagni di avventure si inserisce la trama del giallo; subentrano i temi del crimine organizzato, dell’alta borghesia arricchita in modo losco; un caso da risolvere per il protagonista oramai adulto, diventato un giornalista malinconico, che è saputo uscire dal fango, dal quale, però sa benissimo di provenire.
Un’ombra pesante collega il passato e il presente di Andrea, il romanzo di formazione con il giallo: è l’immagine del fratello maggiore affetto da problemi mentali, il quale turba le vite del protagonista e dei suoi genitori. È il fardello di Andrea che non riesce a rapportarsi con questo dolore e questo problema che nasconde a tutti, ma che lo fa soffrire in silenzio.
Questa presenza vivida in entrambe le parti in cui il romanzo sembra essere diviso è anche il colpo di scena, la trovata stilistica che crea lo scarto tra questo racconto e quelli a lui simili nel suo genere; una prospettiva imprevista lascia sicuramente il lettore sorpreso sul finale, e questo, è sicuramente un merito che ad Amitrano deve essere riconosciuto. Una soluzione stilistica poco usuale capace di ribaltare completamente l’idea che lungo tutte le pagine ci si era fatti della storia raccontata.
Il fratello silenzioso, violento, malato e in realtà l’unico reale protagonista; al doppio piano dei generi si somma il doppio piano della narrazione, del racconto all’interno del racconto. Fantasia, finzione, neorealismo; tutto si fonde in un racconto che, a questo punto, non può che definirsi molteplice. In più il tema della malattia mentale, che finora sembrava fare da sfondo, emerge qui come primario e rimette a fuoco una questione importante, quella del mistero; esiste un mistero di un delitto e un mistero della mente, e tra le pagine di Amitrano entrambi trovano spazio e si fondono in un’accoppiata studiata bene e altrettanto ben riuscita.
Una soluzione innovativa sviluppata in poche righe ma di impatto, che riporta il romanzo sotto una nuova luce dandogli quel tocco di originalità del quale fino a poco fa sembrava mancare. È questa la qualità migliore di Figli dello stesso fango, essere un romanzo dietro il quale c’è una tecnica di scrittura che supera il contenuto, molto visionaria che sicuramente permette al testo di distinguersi all’interno di un genere decisamente molto affollato.
Anna Giordano