Con questo libro Agosti racconta, attraverso dieci lettere spedite ai suoi amici, il miracolo al quale ha assistito di una società nascente, a misura d’uomo, «dove ognuno sembra gestire il proprio destino e la serenità permanente non è un’utopia, ma un bene reale e comune».
Nel Paese di Kirghisia si è realizzato un sogno, quello di una comunità che pone al centro l’essere umano e i suoi naturali desideri, al punto tale da non avere bisogno di una costituzione scritta, in quanto tutti conoscono l’unico semplice articolo che la compone: «Al centro di ogni iniziativa, l’attenzione dello Stato e dei cittadini va innanzitutto all’essere umano». Dopotutto sono anni che Silvano Agosti si batte per inserire l’Essere Umano nella lista dei Patrimoni dell’UNESCO, in modo tale da restituire uguale dignità a qualsiasi abitante del pianeta, liberandolo dalle angustie dei confini delle etnie, dei ruoli e delle sottomissioni a qualsivoglia forma di potere. Così in Kirghisia è dovere di tutti non dimenticare mai che si vive una volta sola e che l’essere umano è un capolavoro della Natura.
D’altronde uno degli aspetti più svilenti e lesivi della dignità umana nell’attuale cultura occidentale – bersaglio preferito di Agosti – è senza dubbio il lavoro che, con il suo standard di 8 ore giornaliere di impiego per 5 o 6 giorni alla settimana, interferisce in modo profondo con il senso di libertà, rubando all’uomo il bene più prezioso che gli è stato fornito.
Le riforme varate dallo Stato di Kirghisia hanno inoltre modificato il comportamento e le abitudini dei suoi cittadini e azzerato del tutto la corruzione politica, poiché chiunque ricopre una carica politica lo fa a titolo di “volontariato”, mantenendo, per tutta la durata del mandato, lo stesso stipendio percepito per l’attività svolta in precedenza. Per non parlare della riduzione quasi totale del consumo di droghe, sigarette e alcolici e dei farmaci rimasti quasi invenduti nei soli primi tre anni di questa singolare esperienza. Ma una società che si reputi veramente “sana” sa agire sull’individuo dalla più tenera età: così gli abitanti della Kirghisia hanno preferito che l’istruzione dei propri figli si fondasse sul meccanismo dell’imparare attraverso l’esperienza, ritenuto permanente e più rapido rispetto a quello collegato allo studio, che, essendo quasi sempre obbligatorio, non penetra a fondo nella memoria conoscitiva e svanisce rapidamente con il trascorrere del tempo. A questo scopo i bambini dai cinque anni in su e i ragazzi fino ai sedici anni giocano tutto il giorno in parchi appositamente preposti, in presenza di persone adulte addette a risolvere qualsiasi problema – un sistema che farebbe impallidire anche l’educatore montessoriano più convinto. Al contempo gli anziani, nominati ad honorem “insegnanti di vita”, invece di starsene rintanati dietro le finestre delle loro case o al bar, si occupano della coltivazione degli orti assegnati in dotazione a ogni famiglia, procurando verdura fresca tutto l’anno.
Valerio Ferrara
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