Lettere dalla Kirghisia: il sogno di una società a misura d’uomo

Esiste un Paese dove si lavora tre ore al giorno, dove a 18 anni ogni cittadino riceve una casa, dove i bambini apprendono giocando all’aria aperta e dove nessuno si ammala più, e se qualcuno ha bisogno di cure non esiste ospedale più perfetto di un corpo felice. Si chiama Kirghisia e ne ha fornito una dettagliata testimonianza Silvano Agosti nel suo epistolario immaginario “Lettere dalla Kirghisia”, pubblicato per la prima volta nel 2004. Agosti è una autore completo, seppure poco conosciuto al grande pubblico: poeta, scrittore, produttore, sceneggiatore e regista, nonché proprietario di due cinema, l’Azzurro Scipioni a Roma e il Piccolo Cinema Paradiso a Brescia, dove propone ogni anno originali rassegne di pellicole d’autore.

Con questo libro Agosti racconta, attraverso dieci lettere spedite ai suoi amici, il miracolo al quale ha assistito di una società nascente, a misura d’uomo, «dove ognuno sembra gestire il proprio destino e la serenità permanente non è un’utopia, ma un bene reale e comune».

Nel Paese di Kirghisia si è realizzato un sogno, quello di una comunità che pone al centro l’essere umano e i suoi naturali desideri, al punto tale da non avere bisogno di una costituzione scritta, in quanto tutti conoscono l’unico semplice articolo che la compone: «Al centro di ogni iniziativa, l’attenzione dello Stato e dei cittadini va innanzitutto all’essere umano». Dopotutto sono anni che Silvano Agosti si batte per inserire l’Essere Umano nella lista dei Patrimoni dell’UNESCO, in modo tale da restituire uguale dignità a qualsiasi abitante del pianeta, liberandolo dalle angustie dei confini delle etnie, dei ruoli e delle sottomissioni a qualsivoglia forma di potere. Così in Kirghisia è dovere di tutti non dimenticare mai che si vive una volta sola e che l’essere umano è un capolavoro della Natura.

D’altronde uno degli aspetti più svilenti e lesivi della dignità umana nell’attuale cultura occidentale – bersaglio preferito di Agosti – è senza dubbio il lavoro che, con il suo standard di 8 ore giornaliere di impiego per 5 o 6 giorni alla settimana, interferisce in modo profondo con il senso di libertà, rubando all’uomo il bene più prezioso che gli è stato fornito. Per di più deforma anche il concetto di ferie, durante le quali milioni di persone sono obbligate a divertirsi, così come il resto dell’anno sono obbligate a lavorare senza tregua, a sognare di trovare un lavoro o a guarire dalle malattie causate da un’attività lavorativa coatta e ripetitiva. In Kirghisia il problema è stato risolto riducendo a 3 le ore giornaliere di lavoro, mentre le restanti 21 ore della giornata vengono dedicate al sonno, al cibo, alla creatività, all’amore, alla vita, a sé stessi, ai propri figli e ai propri simili. E in un contesto dove tutto sembra organizzato per festeggiare quotidianamente la vita, la produttività è persino triplicata, in quanto è stato dimostrato che una persona serena e realizzata è in grado di produrre, in un solo giorno, più di quanto possa fare in una settimana un individuo frustrato e sottomesso.

Le riforme varate dallo Stato di Kirghisia hanno inoltre modificato il comportamento e le abitudini dei suoi cittadini e azzerato del tutto la corruzione politica, poiché chiunque ricopre una carica politica lo fa a titolo di “volontariato”, mantenendo, per tutta la durata del mandato, lo stesso stipendio percepito per l’attività svolta in precedenza. Per non parlare della riduzione quasi totale del consumo di droghe, sigarette e alcolici e dei farmaci rimasti quasi invenduti nei soli primi tre anni di questa singolare esperienza. Ma una società che si reputi veramente “sana” sa agire sull’individuo dalla più tenera età: così gli abitanti della Kirghisia hanno preferito che l’istruzione dei propri figli si fondasse sul meccanismo dell’imparare attraverso l’esperienza, ritenuto permanente e più rapido rispetto a quello collegato allo studio, che, essendo quasi sempre obbligatorio, non penetra a fondo nella memoria conoscitiva e svanisce rapidamente con il trascorrere del tempo. A questo scopo i bambini dai cinque anni in su e i ragazzi fino ai sedici anni giocano tutto il giorno in parchi appositamente preposti, in presenza di persone adulte addette a risolvere qualsiasi problema – un sistema che farebbe impallidire anche l’educatore montessoriano più convinto. Al contempo gli anziani, nominati ad honorem “insegnanti di vita”, invece di starsene rintanati dietro le finestre delle loro case o al bar, si occupano della coltivazione degli orti assegnati in dotazione a ogni famiglia, procurando verdura fresca tutto l’anno.

Senza dubbio la Kirghisia è un laboratorio politico-sociale meraviglioso e disarmante nella sua semplicità. E a chi si domanda se esista sul serio, Silvano Agosti risponde che sì, la Kirghisia esiste, e si trova in fondo ai nostri cuori. Chi la cercherà su Google Maps o tenterà di scovare sul web notizie riguardo la sua organizzazione statale ne rimarrà tristemente deluso: scoprirà l’esistenza di un modesto paese dell’Asia centrale, noto ufficialmente come Repubblica del Kirghizistan, per nulla simile a quello descritto nelle pagine del libro. Ma guai a definire la Kirghisia un’utopia; piuttosto un modello da seguire o una meta da raggiungere. In fondo quelle che per noi oggi nell’Occidente modernizzato sono realtà consolidate, un tempo erano utopie, e anche piuttosto bizzarre. Chi tenterà allora di smascherare o confutare a ogni costo questa realtà, verrà messo di fronte alla sua incapacità anche solo di concepire una comunità che si ponga come obiettivo la felicità e la realizzazione dell’essere umano. Con le sue lettere Silvano Agosti non ha avuto certo la pretesa o l’illusione di cambiare il mondo, ma ha soltanto voluto metterci di fronte all’assurdità dei nostri tempi, nella speranza che possa germogliare in noi il desiderio di riscattare le nostre esistenze. Dopotutto, come ha dichiarato in un’intervista divenuta popolare sul web, «il vero schiavo non è tanto quello che ha la catena al piede, quanto quello che non è più capace di immaginarsi la libertà».

Valerio Ferrara

Valerio Ferrara

Valerio Ferrara nasce a Napoli nel 1990. Dopo aver conseguito il diploma classico, frequenta la facoltà di Economia, maturando in seguito la decisione di abbandonare questo percorso e intraprendere gli studi umanistici presso il dipartimento di Scienze Sociali dell’Università degli studi di Napoli Federico II, dove consegue la laurea in Sociologia, presentando una tesi in Sociologia dei processi culturali e comunicativi. La sua più grande passione è il cinema, con una spiccata predilezione per quello d’autore. Amante della musica sin dall’infanzia, è stato membro dei Black on Maroon, una band alternative rock partenopea. Dal 2016 è redattore della rivista Grado Zero.

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