Laura Pugno, Sirene e il corpo della donna
Le sirene albine, dagli occhi rossi di coniglio, negli allevamenti venivano uccise alla nascita. La carne era cattiva. Per le mezzoalbine il discorso era diverso. In realtà il riferimento all’albinismo era improprio. La colorazione argento rientrava nello standard, anche se di solito le mezzoalbine erano sterili.
– Sirene [Laura Pugno, Marsilio, 2017, p.14]
Quello di Laura Pugno è un romanzo a cavallo fra due mondi. Non solo – nell’intreccio narrativo – fra la città sottomarina e quella di superficie, fra l’uomo e le sirene, ma anche a un livello macroscopico. Sirene, infatti – uscito nel 2007 per Einaudi, e ristampato quest’anno da Marsilio – è un libro in equilibrio fra una distopia, di cui ha tutte le caratteristiche, e ciò che viene definita – non con poche semplificazioni – literary fiction. Questo soprattutto per lo stile, il linguaggio.
Nel mondo di questo libro, le sirene esistono e vengono tenute in cattività dagli esseri umani. Sono considerate alla stregua di animali dalle vaghe sembianze umanoidi, e per questo hanno il loro principale utilizzo nella macellazione per ottenere carne pregiata e nella prostituzione nei bordelli. I maschi, invece, sono solo animali da monta, stupidi, che saranno uccisi dalle femmine al termine dell’accoppiamento.
Da questi presupposti, parte un romanzo che non è incentrato sulle sirene, ma su un uomo, Samuel, e sul suo dramma. E questo è già molto particolare, perché sebbene le sirene siano presenti in ogni pagina del romanzo, la sensazione che si ottiene dalla lettura è che non fossero altro che elementi di contorno, fondamenti narrativi per raccontare la storia di Samuel e della sua moglie morta. Anche le vicende più legate a un aspetto sociale e ambientalista – il cancro dovuto all’esposizione al sole, la caccia, il trattamento barbaro degli animali – passa tutto in secondo piano in questo breve romanzo, e ci si ritrova a seguire solo quell’unico dramma, quello che perseguita il protagonista.
Se le sirene – come è facile intuire – sono anche e soprattutto simbolo di un certo trattamento riservato alle donne, alla mercificazione del loro corpo, alla violenza che viene perpetrata nei loro confronti, il romanzo contrappone la figura di questi animali in gabbia – talvolta rabbiosi e spietati, come dopo l’accoppiamento – a sole due figure femminili, fatta eccezione per Sadako, la moglie morta di Samuel. Figure femminili molto deboli, evanescenti, di poco conto, in un mondo reso totalmente al maschile. Una di queste fa parte di un gruppo per la liberazione delle sirene – una sorta di gruppo animalista – ma si nota come il tutto sfugga di mano, come le sirene passino da essere oggetto di ingiustizia a divinità incatenata, dee da venerare al punto da morire in costumi che rendano simili a loro.
Allora dalla lettura di questo libro esce fuori un verbo: estremizzare. Tutto è estremizzato rispetto alla nostra realtà, tutto è portato ai limiti estremi e messo in gioco per mostrare un mondo alla fine dei suoi giorni, divorato da ogni male – sociale, medico, morale – che non può essere in alcun modo salvato. Né Samuel cercherà minimamente di porre rimedio alle brutture. Non è un eroe, è solo un uomo di cui si intuisce la sorte finale sin dalle prime pagine del volume, che non può che essere così, quel tipo di persona, un uomo che non ha più nulla da perdere e cerca solo un modo di superare o accettare la morte di Sadako.
Un romanzo, questo, dai toni forti, che è capace di creare empatia con un derelitto e con una società che è trasfigurazione – estremizzata, come si diceva – della nostra. Una breve narrazione su un futuro improbabile ma che tende – per ovvi motivi – a riguardarci da più vicino di quanto non vorremmo.
Maurizio Vicedomini