È finita. Grazie di tutto, Cassini.
Gli abbracci tristi, lì alla NASA, dicono che non è stata una semplice missione spaziale, ma un viaggio, una romantica avventura alla scoperta di quel cielo stellato che, troppo assorti dalla vita quotidiana, omettiamo di guardare almeno una volta ogni sera. Cassini-Huygens era il nome completo della missione: il primo un orbiter, ossia un satellite con il compito di orbitare intorno a un corpo celeste; il secondo, un lander, che ha lasciato la sonda Cassini per scendere su Titano, uno dei satelliti di Saturno, nel 2005.
Durante il suo volo, che vide l’inizio nell’ormai lontano 1997, ha sorvolato Giove, scrutato tempeste saturniane, scoperto nuove lune e respirato i gas di atmosfere che l’uomo non potrà penetrare se non chissà fra quanti anni. La missione avrebbe dovuto vedere la sua fine nel 2008, ma vista l’ancora piena funzionalità della sonda, è stata più volte rifinanziata, scoprendo fiumi di metano su Titano, fotografando tempeste su Saturno, “sniffando” piccole percentuali di ossigeno su Dione, campionando getti d’acqua dalla luna Encelado e trovando un oceano sotto la superficie di esso. Alla fine, come in tutte le belle storie che si rispettino, c’è stato “The Grand Finale”, con un susseguirsi di tuffi fra gli anelli, terminato con la distruzione della sonda su Saturno. Per poter viaggiare così lontano, continuando a trasmettere dati e dovendo garantire l’alimentazione degli strumenti elettrici di bordo, Cassini ha utilizzato un generatore termoelettrico a radioisotopi, ossia una fonte di energia che si serve del calore creatosi a seguito del decadimento radioattivo di piccole quantità di plutonio.
Questo è stato il principale motivo della decisione di distruggere Cassini: sebbene sia stata progettata per non disperdere radioattività anche in caso di impatto, poco si sa riguardo a eventuali cambiamenti nei materiali della sonda dopo venti anni di volo spaziale e, nell’evenienza dell’esaurimento dell’energia, sarebbe divenuta ingovernabile. Si è dunque voluto evitare vagasse nello spazio andando a inquinare irreversibilmente qualche corpo celeste e, in particolare, Titano oppure Encelado: c’è metano sul primo e un oceano sul secondo e prima o poi si indagherà sull’eventuale presenza di vita su di essi. Ed è proprio per il proposito di misurare le proprietà fisiche dell’atmosfera che Huygens fu fatto scendere su Titano con un intero laboratorio costituito da sei sofisticati strumenti capaci di monitorare l’atmosfera, la velocità del vento, le radiazioni, la composizione gassosa, la superficie e altre particelle. C’è anche il record: Huygens è l’oggetto atterrato più lontano dalla terra. Ma non è sicuramente quello andato più lontano: c’è la missione Voyager, che ancora continua a stupire, mandando segnali mentre attraversa il fantascientifico spazio interstellare.
Fabio Romano
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