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Irene Némirovsky: una vita che è un romanzo

Irène nasce a Kiev nel 1903 da una famiglia ebrea appartenente all’alta borghesia.
La scrittrice ha vissuto in Russia con la famiglia fino alla rivoluzione d’autunno poi, poiché i Némirovsky erano molto vicini allo Zar, dovettero abbandonare la Russia rivoluzionaria per stabilirsi in un primo periodo in Finlandia, e poi in Francia. È in Francia che la Némirovsky passerà un’infanzia dorata e infelice sempre in compagnia della sua bambinaia francese, alla quale era legata sin dalla più tenera età tanto che imparò prima il francese del russo. Nei confronti della sua famiglia Irene provò sempre un sentimento d’amore e d’odio: una madre anaffettiva e severa, un padre perennemente assente, molto impegnato ad accumulare affari proficui. Durante questa infanzia solitaria, Irene si dedica alla lettura e alla scrittura, pubblica nel 1927, a soli 24 anni, la sua prima opera L’Enfant Genial. Intanto studia lettere alla Sorbona e conosce sette lingue tra cui il russo, il francese, l’inglese e l’yiddish. Nel 1926 sposa l’ingegnere russo Michel Epstein dal quale ha avuto due figlie e nel 1929 diventa celebre con il suo David Golder, che però le procurerà accuse di antisemitismo per via dell’aspra ironia con cui dipinge il protagonista del romanzo. Scrive anche numerosi racconti per delle riviste. Nonostante la fama e il successo, nel 1935 il governo francese rifiuta la sua richiesta di cittadinanza. Con l’inasprirsi delle leggi razziali, nel 1939 si fa battezzare cattolica a Parigi, ma nel 1940 le viene proibito di pubblicare, anche se l’editore Horace de Carbuccia viola la legge continuando a occuparsi delle sue opere. Si trasferisce in campagna con la famiglia e qui inizia a lavorare al suo capolavoro Suite Francese.

Nel luglio 1942 viene arrestata e deportata. Invano il marito e i suoi editori si mobilitano per ritrovarla. Malata di tifo, viene uccisa ad Auschwitz, aveva solo trentanove anni. Il marito disperato fu imprigionato e morì in una delle camere a gas di Auschwitz. Prima della morte però, e qui nasce la leggenda, fece promettere a Denise, una delle sue due figlie, di non separarsi mai dal manoscritto a cui stava lavorando la madre prima di essere deportata e che rimarrà purtroppo incompiuto.

Le figlie di Irene Némirovsky, grazie a un alto ufficiale tedesco che le aiuterà a fuggire si salveranno. Seguiranno tempi di rifugi di fortuna, fughe e documenti falsi e una valigia piena di quaderni. Suite francese rimarrà per un decennio in un cassetto, poi Denise Epstein deciderà di batterlo tutto a macchina.  

Dopo il successo durante la guerra, finita nell’oblio e poi riscoperta all’inizio del 2000, Irène Némirovsky arriva oggi a essere considerata un caso editoriale. Una vita che è un romanzo. Francese o russa, Némirovsky è sempre stata per tutti soprattutto ebrea, ebrea nel periodo dell’antisemitismo più duro che ha pagato con la sua vita. È una donna profondamente segnata da un insanabile conflitto, ripreso in molti romanzi, con la madre in costante competizione con la giovinezza della figlia, al punto da rifiutare le nipoti ma che conserverà come unico bene nella cassaforte (si scoprirà solo dopo la morte) i romanzi di Irène.

La Némirovsky è una scrittrice che ritorna sui suoi romanzi ogni volta alla ricerca della perfezione. Cinica, crudele, capace di descrivere i sentimenti con finezza e perfezione, mette in scena la quotidianità disegnando perfettamente i personaggi secondo una tecnica in cui sviluppa in misura considerevole la vita anteriore dei personaggi.

Tutto quello che è stato definito “Lo stile Némirovsky” perfettamente evidente in romanzi come I cani e i Lupi, l’«ultimo romanzo pubblicato in vita da Irène Némirovsky, prima che le leggi razziali le proibissero di far circolare le sue opere», come spiega Isabella Bossi Fedrigotti nell’introduzione inedita. Racconta di Ada, figlia del ghetto ebraico di Kiev, che giunge a Parigi: una storia in qualche modo autobiografica. La capacità di raccontare tutte le classi sociali è il tratto di questa grande autrice. Immagini visive e sonore, rapide e precise. Più vicina si fa la guerra, più Irène Némirovsky si addentra con la scrittura e con le sue descrizioni nelle camere da letto buie, nelle stanze oscurate, addirittura nei sogni dei personaggi, dove il frastuono delle bombe diventa incubo di mari in tempesta o temporali. Questa è forse la cifra stilistica più notevole della scrittrice: in un’epoca in cui il modernismo ha dato fondo a tutti gli effetti formali possibili, con grandi opere monumentali, fitte di costruzioni inattese, lo sguardo della Némirovsky non cerca di stupire, anzi, come una macchina da presa si mimetizza nel buio, nelle oscurità, costruisce il suo percorso complesso in altro modo, partendo dal particolare, da piccoli oggetti, da simboli, da dettagli per arrivare poi a descrivere interi mondi. Come ne I cani e i lupi, è una Russia di viottoli quella che guida il lettore sulle orme del padre della protagonista Ada, il piccolo mediatore d’affari sempre di corsa o chiuso in una casa oscura e polverosa.

O come ne Il ballo, dove sono soltanto gli occhi, il tocco della pelle, la freddezza di un abbraccio, il tono della voce, a sancire l’abisso che divide madre e figlia «rivali» di vita e di giovinezza.

La critica ha più volte sottolineato come la scrittura della Némirovsky sia un grande ponte dal Novecento verso il grande romanzo ottocentesco, in particolare quello dei russi Tolstoj e Dostoevskij ma anche quello del francese Balzac, la grande tradizione europea del realismo capace di costrutti complessi e di cicli articolati nel tempo. Ma la Némirovsky che cita Proust come cita Tolstoj nelle sue opere, non è soltanto per devozione verso grandi protagonisti e maestri della letteratura russa, ma è una scrittrice che con tutta la sua forza e la sua formazione può permettersi di presentarli da un suo punto di vista. Un esempio si trova proprio nella descrizione di uno dei suoi personaggi più caricaturali, lo scrittore Gabriel Corte di Suite francese, capriccioso esteta, egoista capace di lamentarsi sotto i bombardamenti d’aver perso l’ispirazione. La Némirovsky attraverso questo personaggio presenta un’analisi testuale-narratologica di Tolstoj, illustrando, con un pizzico di autoironia, il proprio stesso metodo di lavoro: «Pensa, in Guerra e pace – dice Gabriel Corte, mentre su Parigi fischiano i proiettili tedeschi -, alle contadinelle che attraversano la strada davanti alla carrozza del principe Andrej ridendo, e la prima immagine che ne hanno è quella di lui che parla con loro, alle loro orecchie; nello stesso tempo la visione del lettore si allarga, non c’è più un singolo volto, una sola anima. Si scopre la molteplicità delle forme».


Questo sguardo dall’esterno, questa capacità di parlare del «punto di vista» giocando con il punto di vista, va oltre il modernismo, è già pienamente contemporaneo, così come sono contemporanee certe immagini marginali gettate nelle scene maggiori allo scopo di anticipare effetti, presagi, inquietudini. Simili tecniche mostrano la disinvoltura di quest’autrice che ha assorbito la nozione di milieu del realismo ottocentesco affiancandola alla libertà formale del modernismo e alla sua capacità di animare il quotidiano di significati inattesi come in Il calore del sangue dove l’affresco domestico quasi minimalista, con i suoi dialoghi flebili di vita e piccoli ricordi apre poi il campo alle rivelazioni, ma anche come abbia assorbito e interpretato con intelligenza le lezioni più sconvolgenti e innovative dei primi decenni del secolo nuovo come il cinematografo dal quale prende la narrazione su un primo piano vertiginoso, il campo e controcampo sincopato, o la capacità di percepire ogni minimo barlume di luce sulla scena, l’abilità di seguire quasi di spalle i personaggi che si avviano verso il loro destino come in campi lunghi e campi sequenza. Ma anche la velocità delle automobili e il loro rumore. Fanno parte dell’influenza della modernità anche l’analisi della coscienza, il senso di appartenenza alle classi sociali e delle loro differenze e inimicizie, la presenza di masse immense e di personaggi all’apparenza secondari, pronti a far emergere un volto, una storia, una personalità, e poi ancora i rapporti di affari, l’impiego di massa presso le grandi industrie e le banche, il lavoro femminile, il caos delle ore di punta, del traffico e delle stazioni. Insomma la descrizione del Novecento.

Irene Némirovsky è una delle migliori scoperte o riscoperte letterarie degli ultimi anni. Sia che la conosciate già o che non la conosciate affatto lasciatevi raccontare dai suoi romanzi la vita, perché con lei si tratta sempre o quasi di amore a prima lettura.

Anna Chiara Stellato

 

Anna Chiara Stellato

Giovane napoletana laureata in lettere, da sempre innamorata della sua città, del dialetto e della storia di Napoli. Lettrice compulsiva, appassionata di cinema d’autore e di serie tv. Sorrido spesso, parlo poco e non amo chi urla.

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