L’alba. Il vecchio Antonio si alza per andare in bagno a pisciare. Solleva il coperchio della tazza, una mano contro il muro, con l’altra lo tira fuori.
Strizza gli occhi, digrigna i denti per il solito bruciore alla prostata. Finisce e si tocca il cuore. Dalla finestra sempre la stessa vista: la provinciale, un rifornimento di carburante e l’autorimessa abbandonata, dove una volta c’era la tenuta dei Ruffo.
Non c’è una volta che non gli torni in mente Telma, la vecchia proprietaria – ormai scomparsa da tempo – che gli vendette la casa per una manciata di milioni.
I famosi tempi della lira.
A’ Ciucciara, la chiamavano in paese. I giovanotti – come lui negli anni cinquanta – pagavano mille lire per il servizio che sapeva far meglio e che gli aveva attribuito la meritata nomea.
A’ Ciucciara, riceveva gli amici dopo che rincasavano dai campi, nel lussuoso soggiorno stile ottocento che ora è solo una camera con un televisore e una poltrona di velluto.
Una sera d’autunno, Antonio andò a trovarla – andava spesso, Telma era un’abitudine dopo il lavoro. Suonò il campanello, sfregò gli scarponi impiastricciati di terriccio sullo zerbino, si coprì la bocca e rifiatò nel palmo per sentire se l’alito puzzasse ancora. Nei campi, a pranzo, si mangiavano spesso pane e cipolla.
Telma non tardò ad aprire. Lo fece accomodare, mise su il caffè, gli fece una carezza sul viso sbarbato, gli indicò il bagno.
«Lo sai che io metto in bocca solo cose pulite».
La prassi.
Antonio si tolse i pantaloni vellutati, i calzini rattoppati, aprì il rubinetto dell’enorme vasca dai bordi dorati e, mentre l’acqua scorreva, si affacciò dalla piccola finestra che dava sulla tenuta dei Ruffo, la nobile famiglia che possedeva più dei due terzi delle terre in paese. Anche Antonio lavorava per loro.
Da quella posizione riusciva a spiare l’unica figlia dei Ruffo, Margherita. Il bagno della signora Telma era in corrispondenza della stanza da letto della ragazza.
Antonio sapeva che ogni giorno, alla stessa ora, Margherita sedeva in balcone a lisciarsi i capelli. La spiava. Margherita impugnava il pettine come fosse un coltello e scioglieva i nodi più resistenti con talmente tanta violenza che i capelli le cadevano a ciocche sulla vestaglia rosa carne.
Poi gettava un urlo, un urlo liberatorio che si propagava come un’onda d’urto per tutta la tenuta. E lanciava il pettine oltre il balcone. E restava lì, fino al tramonto seduta sulla balaustra con le gambe penzolanti nel vuoto.
La gente ormai lo sapeva, che la figlia dei Ruffo era stata deflorata da un turista americano di passaggio. Il padre la teneva richiusa nella villa, lontano da occhi indiscreti. Gli uomini, in paese, la chiamavano “la zoccola di Hollywood”.
«Allora? Io ho altra gente dopo» disse Telma dal soggiorno. Antonio entrò in fretta e furia nella vasca, s’insaponò le gambe, l’inguine, il sesso, i piedi, uscì che sembrava aver messo solo metà del corpo in un recipiente di pittura bianca, tanto era sporco.
Telma, stanca di aspettarlo, non perse tempo e andò a fare il lavoro in bagno, tutto pur di rispettare la tabella di marcia programmata fino all’ora di cena.
La donna s’inginocchiò, tirò su col naso, prese un respirone, sorrise maliziosa prima di cominciare a guadagnarsi le mille lire pattuite.
Antonio le posò le mani sulle spalle, inclinò la testa verso la finestra e posò gli occhi di nuovo su Margherita ancora seduta sulla balaustra. Non l’aveva mai spiata per così tanto tempo.
Lei, che mai aveva fatto caso ad Antonio, stavolta si accorse di lui e gli fece un timido saluto sventolando il braccio.
Antonio ricambiò alzando la mano destra, l’avrebbe salutata a due mani ma la sinistra stava poggiata sulla testa dell’operosa signora in ginocchio.
Quando la ragazza stava per rientrare in casa, lui le gridò contro.
«C’amma fari? Fattillu piaciri mutu» lo richiamò Telma, approfittandone per riprendere fiato. Poi si diede da fare per finire in fretta.
Margherita, ormai di spalle, si voltò.
Antonio spalancò gli occhi, afferrò i capelli di Telma, li strinse e gemette più volte, lo fece per tutto il tempo che Margherita rimase a guardarlo fino a quando il piacere, non si spense nella bocca della Ciucciara.
«Margherita, se tu mi vuoi, io ti porto via» continuò Antonio.
«E dove?» rispose la ragazza, sporgendosi dal parapetto.
«Cosa?» ribatté lui uscendo la testa fuori dalla finestra.
«Dove mi porti?».
Telma, invasa dalla vergogna, gattonò fino alla porta e si rifugiò in soggiorno.
Antonio tirò su i pantaloni. «Che t’importa Margherita!».
«Non posso venire con te». Ribatté lei.
«Che t’importa Margherita! Se tu mi vuoi a me non m’importa» incalzò Antonio.
«Margherita, se tu mi vuoi, a me non m’importa». ripete ancora sottovoce il vecchio Antonio, con l’odore del sapone di Telma incastrato nelle narici e l’amore che torna quando va a pisciare, l’amore incompiuto che brucia quando piscia, guarda fuori dalla finestra e ripensa all’ultimo, coraggioso, grido di Margherita. La ragazza che ha vent’anni per sempre.
E anche se il dottore dice che è la prostatite, Antonio si tocca il cuore, quando va a pisciare.
Mattia Corrente
(In copertina: Baby, bye bye, di Jack Vettriano)
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