– Sì, sì, – mi disse – scusi. Era un po’ che non sentivo il nome di Majorana. Quindi è stato contagiato anche lei?
– Che intende dire? – risposi.
[A proposito di Majorana – Javier Argüello]
In effetti era da un po’ che Ettore Majorana non tornava a contagiare storie. La sua scomparsa continua a distanza di decenni a ispirare soluzioni narrative, e questa volta è toccato a Javier Argüello con A proposito di Majorana. Ma procediamo con ordine.
Ettore Majorana è stato un fisico, vissuto nei primi anni del Novecento appartenente al gruppo di teorici noto come “I ragazzi di via Panisperna”. I suoi studi si concentravano principalmente sulla fisica nucleare e la teoria dei neutrini. Fin da giovane aveva avuto fama di genio. Non è, però, tra queste ragioni che si trova il motivo per cui tanti scrittori nel tempo hanno scelto di raccontare la sua storia. Si sa, in narrativa le storie nascono dall’esigenza di dar risposta a domande insolute – o almeno spesso accade questo – e la scomparsa del fisico avvenuta in circostanze misteriose nella primavera del ’38 non si sottrae a questa logica.
La sera del 25 marzo 1938 Majorana partì da Napoli con un piroscafo della società Tirrenia per arrivare a Palermo, dove soggiornò per qualche giorno al “Gran Hotel Sole”. Il viaggio gli era stato consigliato da amici e parenti per procurargli un po’ di riposo. Quello stesso giorno, prima di partire da Napoli, Majorana aveva scritto due messaggi: questo, ad Antonio Carrelli, suo collega all’università di Napoli:
«Caro Carrelli, ho preso una decisione che era ormai inevitabile. Non vi è in essa un solo granello di egoismo, ma mi rendo conto delle noie che la mia improvvisa scomparsa potrà procurare a te e agli studenti. Anche per questo ti prego di perdonarmi, ma soprattutto per aver deluso tutta la fiducia, la sincera amicizia e la simpatia che mi hai dimostrato in questi mesi. Ti prego anche di ricordarmi a coloro che ho imparato a conoscere e ad apprezzare nel tuo Istituto, particolarmente a Sciuti; dei quali tutti conserverò un caro ricordo almeno fino alle undici di questa sera, e possibilmente anche dopo».
E quest’altro ai suoi familiari:
«Ho un solo desiderio: che non vi vestiate di nero. Se volete inchinarvi all’uso, portate pure, ma per non più di tre giorni, qualche segno di lutto. Dopo ricordatemi, se potete, nei vostri cuori e perdonatemi».
Probabilmente, però, qualcosa non andò secondo i suoi piani. Infatti il giorno seguente, il 26 marzo, Carrelli ricevette un telegramma in cui Majorana lo rassicurava, e quello stesso giorno fu scritta e spedita un’ultima lettera:
Palermo, 26 marzo 1938 – XVI
«Caro Carrelli,
Spero che ti siano arrivati insieme il telegramma e la lettera. Il mare mi ha rifiutato e ritornerò domani all’albergo Bologna, viaggiando forse con questo stesso foglio. Ho però intenzione di rinunziare all’insegnamento. Non mi prendere per una ragazza ibseniana perché il caso è differente. Sono a tua disposizione per ulteriori dettagli».
Le indagini proseguirono per tre mesi tra Napoli e Palermo senza portare risultati. Anche perché non si è mai stati certi che Majorana fosse ripartito. Le uniche informazioni certe erano due: a gennaio di quello stesso anno Majorana aveva prelevato dalla banca tutti i suoi risparmi (ammontanti a circa diecimila dollari attuali); il suo passaporto non venne mai trovato.
Sul caso irrisolto di Majorana si è speculato tanto negli anni e le teorie sono varie: c’è chi sostiene che il fisico si sia rifugiato in sud America, chi sostiene che si sia ritirato a vita solitaria, chi crede che il suicidio sia riuscito in un secondo momento; addirittura è stato identificato negli anni’80, tramite la dichiarazione di un anonimo, con un clochard romano che sosteneva di avere la soluzione all’ultimo teorema di Fermat, enigma all’epoca ancora irrisolto e che dal XVII secolo aveva impegnato i più grandi matematici.
E tanto altro si è creduto intorno alla sua scomparsa, che anche la letteratura ne ha raccolto il testimone. Il testo più noto in Italia intorno alla vicenda è La scomparsa di Majorana (1975) di Leonardo Sciascia. Qui, Sciascia, usando i toni del saggio in uno spazio narrativo prima definisce a che punto hanno portato le indagini intorno alla scomparsa del fisico, poi azzarda la sua ipotesi abbracciando quella del ritiro in convento. L’idea dello scrittore siciliano è che Majorana abbia ricusato il ruolo di scienziato in seguito all’intuizione delle disastrose conseguenze a cui avrebbe portato l’utilizzo della bomba atomica (progetto a cui i suoi studi stavano contribuendo).
Ancor prima, nel 1956-57, Giuseppe Tomasi Di Lampedusa, scrisse un racconto dal titolo Lighea (più noto come La Sirena), in cui allo stile realistico vengono sovrapposte evocazioni fantastiche. Il testo è ambientato nel 1938 a Torino. Si narra l’incontro in un bar di via Po tra l’anziano Rosario la Ciura, illustre classicista, e il giovane Paolo Corbera di Salina, mediocre giornalista di origini nobili. Nonostante il divario generazionale il giovane riesce a guadagnarsi la fiducia dello studioso che porta lentamente il professore ad aprirsi fino a raccontare al ragazzo un incontro magico avuto con una seducente sirena. L’evento è così soggiogante per lo studioso che, anni dopo il racconto fatto a Corbera, decide di togliersi la vita gettandosi in mare per provare a ricongiungersi con la sirena. Lighea non ha espliciti richiami alla vicenda di Majorana, ma alcune spie nel testo permettono di riconoscere una rielaborazione del caso (il 1938; la scomparsa in mare, tra le più evidenti).
Antonio Esposito
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