Quando la personalità di una star si dissolve, ovvero Jim & Andy : the Great Beyond

C’era una volta un comico americano geniale e irriverente che aveva messo a nudo l’assurdità del mondo dello spettacolo, rivoluzionando totalmente il concetto di stand up comedy.  Si tratta di Andy Kaufman, un uomo le cui esibizioni finivano sempre per mettere lo spettatore nella scomoda posizione di chiedersi dove finisse lo scherzo e dove cominciasse la realtà. Dalla nicchia degli esordi al Saturday Night Live fino al successo della serie televisiva Taxi, l’attore statunitense ha sempre stravolto le regole del gioco, mettendo in mostra sia la reazione incredula del pubblico dinanzi a situazioni non programmate, sia i meccanismi falsati del dietro le quinte, smascherando quel volto di insensata serietà con cui l’industria dello spettacolo degli anni Ottanta si ammantava.

Dai memorabili incontri di lotta libera in cui sfidava esclusivamente donne fino alla rissa in diretta scatenata nel bel mezzo di uno sketch al Friday – di cui non fu mai chiarito se si fosse trattato di una gag da lui stesso ideata o di un reale incidente –, prendersi gioco del pubblico divenne l’elemento distintivo di ogni suo spettacolo. Aumentando sempre più la posta in gioco, Kaufman arrivò a creare anche un suo alter-ego, Tony Clifton, un volgare e burbero cantante di Las Vegas che, interpretato a volte da se stesso, altre dal fratello Michael o dal collaboratore Bob Zmuda, finì per vivere di vita propria, accrescendo la confusione nel pubblico e nei mass media. Molti credettero persino che la morte, avvenuta nel 1984 per una rarissima forma di cancro ai polmoni, fosse stata l’ennesima trovata di quel comico stravagante. Altri ancora arrivarono ad alimentare la leggenda che si fosse sottoposto a interventi di chirurgia plastica per rendersi irriconoscibile e vivere sotto la falsa identità di un comico odierno.

Il maggiore sospetto ricadde su Jim Carrey, che nel 1999 il regista Milos Forman – già noto per Qualcuno volò sul nido del cuculo e Amadeus – volle per impersonare proprio Kaufman nel biopic Man on the Moon. Dopotutto chi meglio di lui, interprete camaleontico che aveva fatto della provocazione esasperata il suo marchio di fabbrica, avrebbe potuto ricalcare le orme di quel memorabile performer. Il risultato, infatti, fu sconvolgente e nonostante lo scarso successo ai botteghini, Jim Carrey, ormai all’apice della sua carriera, propose forse la sua migliore interpretazione, tanto da ottenere l’anno seguente il Golden Globe come Migliore attore in un film commedia. Tuttavia per quasi due decenni ciò che avvenne durante la lavorazione del film rimase un segreto. La ragione di questo segreto fu che i dirigenti della Universal non vollero che il pubblico sapesse che “Jim Carrey è uno stronzo” – testuali parole. Tutto, però, è stato svelato al 74° Festival del Cinema di Venezia dal film con il lunghissimo e ironico titolo Jim & Andy : The Great Beyond – the story of Jim Carrey and Andy Kaufman with a very special, contractually obligated mention of Tony Clifton.

Si tratta di un documentario, diretto da Chris Smith, che mostra le immagini di quel backstage proibito, durante il quale l’attore canadese si calò a tal punto nella parte di Kaufman da non uscirne mai durante tutte le riprese, comportandosi esattamente come lui – e come i personaggi da lui interpretati – anche dopo i ciak e scatenando sul set un folle psicodramma che mise a dura prova i nervi dell’intera troupe. In fondo il potere sovversivo della comicità strabordante di Jim Carrey è sempre stato evidente fin dai suoi esordi.  Nella conferenza stampa di presentazione al Lido ha dichiarato:

Avevo fatto Ace Ventura perché volevo distruggere Hollywood, non farne parte. L’ho fatto per prendere in giro l’ego degli attori protagonisti, i tipi che hanno una risposta a tutto, quegli atteggiamenti tra Sherlock Holmes e Clint Eastwood. Mi prendevo gioco dei film, l’ho sempre fatto. Per me deve sempre esserci un aspetto sovversivo in quello che fai.

Parallelamente al materiale girato dietro le quinte, Jim Carrey racconta in una lunga intervista non solo il making of del film, ma anche la propria evoluzione, innanzitutto come attore desideroso di «liberare le persone dalle preoccupazioni», ma in special modo come essere umano in cerca di una comprensione più profonda della propria autenticità. È un Jim Carrey inedito quello che ritroviamo in queste confessioni, un Jim Carrey esistenzialista e spirituale, già anticipato da qualche spiazzante apparizione pubblica, ben lontano dal comico demenziale dai mille volti e più vicino al dimesso artista che dipinge quadri per «curare un cuore spezzato» del mini documentario I Needed Color.

Quel “grande al di là” citato nel titolo non è altro che lo stesso Andy Kaufman, suggerisce Jim Carrey nel finale. È la vacanza che una star della «città delle maschere» ha preso da se stesso. È l’attraversamento di quella soglia laddove non si conosce cosa ci sia dall’altra parte, quando in realtà «dall’altra parte c’è tutto». Ed è forse proprio questo quello che Jim e Andy hanno sempre voluto dirci: che questo grande al di là è accessibile a chiunque. A patto che ci si liberi dalle catene astratte della nazionalità, della religione, dell’economia, della famiglia. Da tutte quelle costrizioni, insomma, che alimentano l’inganno della personalità.

Non sarà forse il caso di prenderli sul serio questa volta?

 

Valerio Ferrara

Valerio Ferrara

Valerio Ferrara nasce a Napoli nel 1990. Dopo aver conseguito il diploma classico, frequenta la facoltà di Economia, maturando in seguito la decisione di abbandonare questo percorso e intraprendere gli studi umanistici presso il dipartimento di Scienze Sociali dell’Università degli studi di Napoli Federico II, dove consegue la laurea in Sociologia, presentando una tesi in Sociologia dei processi culturali e comunicativi. La sua più grande passione è il cinema, con una spiccata predilezione per quello d’autore. Amante della musica sin dall’infanzia, è stato membro dei Black on Maroon, una band alternative rock partenopea. Dal 2016 è redattore della rivista Grado Zero.

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Valerio Ferrara

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