Dai memorabili incontri di lotta libera in cui sfidava esclusivamente donne fino alla rissa in diretta scatenata nel bel mezzo di uno sketch al Friday – di cui non fu mai chiarito se si fosse trattato di una gag da lui stesso ideata o di un reale incidente –, prendersi gioco del pubblico divenne l’elemento distintivo di ogni suo spettacolo.
Il maggiore sospetto ricadde su Jim Carrey, che nel 1999 il regista Milos Forman – già noto per Qualcuno volò sul nido del cuculo e Amadeus – volle per impersonare proprio Kaufman nel biopic Man on the Moon. Dopotutto chi meglio di lui, interprete camaleontico che aveva fatto della provocazione esasperata il suo marchio di fabbrica, avrebbe potuto ricalcare le orme di quel memorabile performer. Il risultato, infatti, fu sconvolgente e nonostante lo scarso successo ai botteghini, Jim Carrey, ormai all’apice della sua carriera, propose forse la sua migliore interpretazione, tanto da ottenere l’anno seguente il Golden Globe come Migliore attore in un film commedia.
Si tratta di un documentario, diretto da Chris Smith, che mostra le immagini di quel backstage proibito, durante il quale l’attore canadese si calò a tal punto nella parte di Kaufman da non uscirne mai durante tutte le riprese, comportandosi esattamente come lui – e come i personaggi da lui interpretati – anche dopo i ciak e scatenando sul set un folle psicodramma che mise a dura prova i nervi dell’intera troupe. In fondo il potere sovversivo della comicità strabordante di Jim Carrey è sempre stato evidente fin dai suoi esordi. Nella conferenza stampa di presentazione al Lido ha dichiarato:
Avevo fatto Ace Ventura perché volevo distruggere Hollywood, non farne parte. L’ho fatto per prendere in giro l’ego degli attori protagonisti, i tipi che hanno una risposta a tutto, quegli atteggiamenti tra Sherlock Holmes e Clint Eastwood. Mi prendevo gioco dei film, l’ho sempre fatto. Per me deve sempre esserci un aspetto sovversivo in quello che fai.
Parallelamente al materiale girato dietro le quinte, Jim Carrey racconta in una lunga intervista non solo il making of del film, ma anche la propria evoluzione, innanzitutto come attore desideroso di «liberare le persone dalle preoccupazioni», ma in special modo come essere umano in cerca di una comprensione più profonda della propria autenticità. È un Jim Carrey inedito quello che ritroviamo in queste confessioni, un Jim Carrey esistenzialista e spirituale, già anticipato da qualche spiazzante apparizione pubblica, ben lontano dal comico demenziale dai mille volti e più vicino al dimesso artista che dipinge quadri per «curare un cuore spezzato» del mini documentario I Needed Color.
Quel “grande al di là” citato nel titolo non è altro che lo stesso Andy Kaufman, suggerisce Jim Carrey nel finale. È la vacanza che una star della «città delle maschere» ha preso da se stesso.
Non sarà forse il caso di prenderli sul serio questa volta?
Valerio Ferrara
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