Al giorno d’oggi, in Europa(e fino a poche settimane fa, anche negli USA) vige questo principio, secondo il quale, detto in maniera molto sbrigativa, i dati di tutti hanno uguale dignità: puoi guardare un filmato da YouTube, fare una ricerca su Google oppure shopping su Amazon e la tua richiesta di un servizio Internet verrà servita dal tuo Internet Service Provider(ISP) indipendentemente da quanto tu stia pagando per accedere a Internet.
Senza la Net Neutrality, una big company, pagando una bella cifra, potrebbe avere una sorta di corsia veloce, per cui il traffico da e per quell’azienda verrebbe fortemente avvantaggiato rispetto al traffico di chi, invece, si rivolge a un’altra azienda. Gli svantaggi, sotto i punti di vista della concorrenza, sono più che evidenti: una neonata piccola azienda, con un piccolo budget e una grandissima idea, avrebbe ancora più difficoltà a sfondare se si trova di fronte a colossi i cui bilanci farebbero invidia a intere nazioni; un utente preferirebbe, molto probabilmente, guardare un film in streaming a velocità piena tramite un colosso piuttosto che fermarsi ogni due secondi a causa del buffering del filmato. Perché le big company sono allora contrarie a una norma che, tutto sommato, le avvantaggerebbe? Perché si tratta di pagare. Sebbene i loro introiti gli permettano di non diventare troppo povere con una tassa per accedere a una “fast lane”, una corsia veloce, dovrebbero comunque spendere di più per avere qualcosa che, di per sé, già posseggono: il monopolio.
Si provi infatti a pensare a quanti tentativi credibili son stati fatti per scalzare
Fabio Romano
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