È un ritmo che inganna con la sua incalzante spigolosità concettuale, che invita a proseguire nella lettura per cercare un senso ed è questa ricerca che ti spinge freneticamente ad arrivare fino in fondo, in un’apnea accomodata dallo scorrere calligrafico (nessuna maiuscola – in risposta a Giudici che ne fece suo veicolo poetico – da far impallidire anche i punti fermi, defraudati del loro potere assassino di troncare la frase).
E tu lettore mangi parole, smanioso di sapere e di sviscerare l’arcano che si cela dentro l’inchiostro, trituri verbi e legami sintattici, macini versi senza poterti fermare, risucchiato da quel flusso verbale che è corrente poetica.
Gli spazi – spazi fisici, spazi locali (perché è in una casa che la poesia di Donalisio dimora) – si susseguono facendoti vagare per quella che quotidianamente percorri, in cui silenziosamente vivi: la casa. L’intimità poetica è stipata nell’intimità domestica: i versi esigono un loro posto e ti accolgono nell’antico vestibolo dal sapore classico e arcaico per condurti con la stessa scioltezza in una passeggiata lirica a metà tra il gioco di parole e il citazionismo, attraverso un dimesso cucinino, passando per la zona notte e, per ultimo, il ripostiglio.
Ti senti perduto negli spazi quotidiani, negli spazi di sempre, ma ora diversi perché profanati da parole poetiche che senti tue, ma che tue non sono: le hai acquistate, puoi dominarle. Le frasi s’innescano a cascata e demoliscono, infedeli, il pensiero portante che vorresti trovare: è un linguaggio sincopato che rifugge appigli.
Ancora brancoli linearmente alla ricerca del senso: deve essere rimasto indietro, incagliato forse in qualche enjambement avventatamente sorpassato o sottovalutato; era la fretta ti dici, rifiutando di imputare la mancanza di un abbordabile significato ad una tua negligenza, e allora riparti, con più calma, con più attenzione, meno presunzione, arrendevole alle parole e agli a capo.
Non è facile lasciarsi ammansire, dalla poesia dico: la lettura s’impenna, s’arruffa, il testo si piega a fatica, devi starci dietro, assecondarlo.
È questa la bellezza poetica di Donalisio: la sua cripticità elusiva e fuggevole, quel senso in potenza plurimo che si attiva e al contempo annulla verso dopo verso, e che “il lettore collochi, qualora ne sentisse la necessità, tale linguaggio nel tempo e nello spazio” – eccolo il monito dell’autore – : è una lotta verbale, una lotta fonetica fatta di assonanze e bisticci, in cui la parola esige il primato.
Volendo legare parte di questi versi a un’esperienza personale – faccio credito affinché il lettore si fidi delle mie parole – vi racconterò un episodio.
Donalisio ha dato inconsapevolmente risposta a un mio quesito infantile:
ogni tanto si ferma, come
per esaminare cose che non esistono.
bruscamente si volta, non c’è nulla
alle sue spalle, ma tuttavia ha
la sensazione che qualcosa sia
scomparso, che un essere abbia
bruscamente deciso di astenersi
dall’esistere
Claudia Corbetta
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