Il racconto di Angelo Zabaglio aka Adrea Coffami è tratto dalla raccolta L’interpretazione dei sogni di Freud Astaire (Gorilla Sapiens, 2016).
Lavoro all’ufficio oggetti smarriti.
La gente arriva qui e pensa di trovare gli oggetti smarriti. Ma pure le cazzate, tipo il cellulare che magari lo hai smarrito tra le lenzuola una notte che stavi ubriaco e prima di addormentarti lo hai gettato sul letto e quello, gira che ti rigira, si è intrufolato tra le lenzuola, il copriletto, il piumino, e vieni da me all’ufficio oggetti smarriti, senza renderti conto che il tuo cellulare ora è nella lavatrice insieme alle lenzuola.
— Signora qui siamo all’ufficio oggetti smarriti! Lo capisce? Come posso darle la sua busta della spesa piena di bastoncini Findus, se qui siamo all’ufficio oggetti smarriti?! Ma se ne rende conto? È un controsenso. Non c’è ufficio più sbagliato che possa aver scelto. Si fidi. Provi a chiedere a un passante, ma di certo non venga di nuovo qui. Questo è l’ufficio oggetti smarriti. Lo dice il nome stesso. Come pensa di ritrovare la sua busta qui? È da pazzi!
Cioè, è per definizione: noi qui non abbiamo nulla. Sono oggetti smarriti, come potete pensare minimamente di ritrovarli qui? Magari un giorno li abbiamo avuti, ma ora chissà dove sono. Cosa me lo chiedete a fare? Forse avreste avuto qualche possibilità se foste arrivati nel momento stesso in cui ci portavano l’oggetto. Ma dopo dieci minuti già non si sarebbe trovato più. Ma niente: decine di persone al giorno che passano qui e chiedono degli oggetti più disparati: ombrelli, incudini. Ma ti puoi perdere un’incudine?
— Lo avevo lasciato sul sedile davanti a me in treno, mi sono assopito e al mio risveglio non c’era più —. Ma cos’è? Un marito frustrato che mentre dormi si allontana?
Io non ne posso più del mio lavoro. Stare in piedi sei ore al giorno in una stanza totalmente vuota, si diventa pazzi. Non c’è nemmeno una sedia, una radio, un computer, nulla. Non c’è nemmeno una scrivania. Nulla. Portarono la mobilia il primo giorno (e sono sette anni che sto qui dentro, dico: sette anni) ma il giorno dopo era sparito tutto. Qui si smarrisce tutto. Non capisco perché veniate a cercare i vostri preziosi oggettini qui. Che se erano tanto preziosi ci stavate più attenti, invece di venire da me qui. In questa stanza bianca, asettica. Totalmente vuota. Da me.
Che mi ritrovo nudo in questa stanza. Che ho smarrito pure i vestiti.
Che c’è da uscire pazzi con questo lavoro. Sto perdendo anche la memoria. In realtà non fumavo prima di iniziare questo lavoro, ma ne approfitto per uscire fuori, farmi due tiri e ricordare il mio nome. Fabio mi chiamo. C’è da uscire pazzi con questo lavoro.
C’è da uscire.
Pazzi.
Angelo Zabaglio aka Andrea Coffami
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