Abbiamo un debito con Julian Muller e si chiama zia Mame
La filologia d’autore nel Novecento costituisce il punto d’arrivo di un percorso di progressiva separazione delle due figure di autore ed editore. Essi diventano, cioè, due persone diverse: dato oggi ovvio, ma un tempo non banale. Praticamente fino all’Ottocento, con modalità e gradienti d’interventualità differenti, l’autore era il più delle volte editore del suo stesso testo, e le figure che, in tipografia, gli ruotavano intorno, non erano mai prevaricanti su di lui.
A partire dal Novecento, invece, nel circuito editoriale si inseriscono nuove figure dalle individualità nette. Tra queste, oltre a quella dell’editore, c’è quella dell’editor, il primo lettore esperto con cui si scontra l’autore, e che con quest’ultimo arriva a contribuire alla messa a punto del testo in un costante rapporto di compromessi – nel senso più positivo del termine. Le implicazioni che scaturiscono dalla necessaria ricerca d’equilibrio tra queste figure agisce sul testo modificandone contenuti, forme e percezione.
Quanto importante sia, nella nostra contemporaneità fatta di grandi mercati grandi masse grandi numeri, la presenza di queste figure ce lo insegna un esempio fatto di tre nomi, Zia Mame, Patrick Dennis e Julian Muller.
Il 6 gennaio di quest’anno le edicole si sono riempite di copie di Stoner, di John Williams, in vendita con La Repubblica e l’Espresso. È stato il primo titolo di una serie che, ogni sabato, uscirà fino al 18 aprile regalandoci 15 opere del Novecento diventate casi letterari negli anni Duemila. Tra questi si è piazzata con il suo dispotismo ingenuo una donna incantevole dell’America degli anni Venti, all’anagrafe editoriale Zia Mame.
Un caso letterario degli anni Duemila. In effetti, quest’opera fu un caso letterario già nel 1955, anno della sua pubblicazione; solo in America furono vendute due milioni di copie e Zia Mame rimase a guardare curiosa e un po’ beffarda il mondo letterario dall’alto del suo primo posto nella classifica del New York Times per centododici settimane. In Italia Zia Mame fu stampato qualche anno dopo ed ebbe successo; ma effettivamente esplose solo nell’edizione Adelphi del 2009 a cura di Matteo Codignola, e per l’intera estate di quell’anno parve assurdo essere un essere umano e non sapere chi fosse Mame Dennis.
Stampe e ristampe, edizioni e riedizioni, successo, oblio, di nuovo successo, di nuovo oblio, ristampa: se questo giro vi è parso già vagamente agitato sulle montagne russe del mondo editoriale state a sentire un po’ qui.
Edward Everett Tanner III (sì, era il suo nome vero) sotto lo pseudonimo di Patrick Dennis tenta di pubblicare una raccolta di racconti vagamente ispirati a personaggi della sua vita (per la maggior parte a sua zia Marion) e viene rifiutato lapidariamente da diciannove editori, “che col fiuto e la lungimiranza tipici della categoria lo avevano giudicato invendibile […], giudizio che, per chi non lo sapesse, in editoria si applica a tipologie di opere molto diverse, fra cui spiccano, nell’ordine, alcuni titoli che di lì a poco verranno stampati in milioni di copie, quasi tutti i libri illustrati e tutte le raccolte di racconti”(dalla postfazione di Matteo Codignola).
Zia Mame appartiene alla categoria uno e tre.
Nel 1955 però, una casa editrice, la Vanguard Press, si ritrova tra le mani il manoscritto di Patrick Dennis e tra i suoi uffici un editor brillante (dote rara) e pratico (dote ancora più rara): Julian Muller. La combinazione si rivela stellare. Non solo Muller comprende il valore eccezionale dell’opera che gli portano sulla scrivania; non solo contribuisce alla sua pubblicazione, ma contribuisce al suo successo, grazie al quale sugli scaffali delle librerie ancora troviamo il nome di Patrick Dennis.
Muller, infatti, s’inventa una soluzione geniale, che risponde al nome di Indimenticabile Zitella Del New England, praticamente l’antitesi narrativa di Zia Mame e però la chiave del suo successo.
Abbiamo già accennato al fatto che il nucleo di Zia Mame non c’era, e come atomi impazziti senza riferimenti si agitavano una serie di racconti, brillanti, con gli stessi protagonisti, ma scollegati tra loro e quindi poco appetibili per il mercato editoriale dell’epoca. Muller allora prende una risoluzione quasi sveviana: nel cercare un minimo comun denominatore che possa fare da collante alle avventure di Zia Mame, trova il modo di dividere l’opera in sezioni.
La voce narrante, guarda un po’ di nome Patrick Dennis, legge su un giornale le vicende mirabolanti della vita di una zitella del New England, e di volta in volta prende spunto per iniziare a narrare un episodio analogo la cui protagonista è però zia Mame.
Un esempio che valga per tutti: l’Indimenticabile Zitella Del New England adotta un frugoletto in tenera età, mettendosi in gioco e riuscendo impeccabilmente nella sua missione educativa, tirando su praticamente un genio. E a Zia Mame accade proprio(=quasi) lo stesso: a pagina 4, senza fronzoli e drammi, il padre di Patrick muore e lui viene dato in affidamento alla sua unica parente in vita, la nostra Mame, ovviamente.
Patrick, ormai adulto, scorre gli occhi lungo l’articolo che parla dell’Indimenticabile e la paragona costantemente a zia Mame, sistemando colonne portanti e archi di una struttura narrativa finalmente abbastanza solida da giustificare la pubblicazione dell’opera.
Fingere la realtà in una finzione della realtà: inventare una storia in una storia, organizzare un meccanismo a matrioska.
Finzione e realtà sono due concetti che hanno molto a che fare con il mondo eccentrico di zia Mame e del suo altrettanto eccentrico nipote Patrick Dennis. Innanzitutto, zia Mame esiste o no? Abbiamo già accennato al fatto che, in parte, Dennis si ispira per la creazione del suo fortunato personaggio a una sua zia, Marion Tanner. Di questa Marion sappiamo qualcosa, e ciò che sappiamo in effetti non è lontano dalla versione più blanda delle avventure di zia Mame.
Trasferitasi da Buffalo a New York, Marion Tanner insegna – e nessuno sa chi l’abbia insegnato a lei – hockey sul ghiaccio per un breve periodo; in seguito lavora come commessa e tenta la strada del cinema. Dopo due matrimoni falliti, apre una casa in cui, tra una disciplina orientale e l’altra, riceve senza distinzione artisti promettenti e ragazzini di strada.
Questo puzzle si è composto negli anni, ma nel 1955 un voluto alone di mistero circondava la figura di zia Mame, e i lettori impazziti si chiedevano se fosse o no un personaggio realmente esistente, e in quale misura le sue avventure potessero essere considerate realmente accadute. Ora s’è fatta un po’ di chiarezza e si è abbandonata un po’ di ingenuità, ma in realtà ancora non sappiamo in quale misura c’è da cogliere l’autobiografismo nella storia di Patrick e di sua zia.
In effetti, Zia Mame potrebbe essere un alterego di Marion Tanner tanto quanto un alterego di Patrick stesso, che se nel romanzo risulta avere i piedi per terra ed essere tutto sommato un ragazzo tranquillo, nella realtà – il Patrick-autore, per intenderci – è un uomo a dir poco eccentrico. Presta servizio militare in Italia durante la Seconda Guerra Mondiale, inizia la sua carriera come giornalista e ghostwriter, pubblica un numero notevole di romanzi sotto pseudonimi diversi, alcuni dei quali femminili; stravagante e sopra le righe, era noto per il suo vizio di spogliarsi in pubblico nei contesti meno appropriati; aveva una passione forse troppo smisurata per l’alcool e, sebbene fosse sposato e avesse due figli, ebbe probabilmente relazioni omosessuali, mai dichiarate esplicitamente.
In una vita tanto fuori dagli schemi, apparentemente leggera, fatta di redazioni, case editrici, teatri, feste in terrazza, luci e abiti di seta, s’inseriscono e si alternano un inspiegabile tentativo di suicidio, una serie sorprendente di crolli psicologici, un ricovero in una clinica psichiatrica e varie crisi finanziarie. Edward finirà la sua vita lavorando in incognito come maggiordomo al servizio di Ray Kroc, il proprietario di Mc Donald’s. Da uscirci matti? Aspettate di conoscere zia Mame.
Mame è praticamente la versione femminile e meno disgraziata di Patrick; come se lui avesse tentato di affogato via gli aspetti più cupi e inquietanti della sua persona e avesse tirato a galla solo gli aspetti divertenti, ironici e svampiti per modellare Mame.
Un giorno Mame è avvolta in una mantellina spagnola con una rosa dietro l’orecchio ed è solo l’immagine lontana in una fotografia; il giorno dopo, con dinamiche precipitose, zia Mame si erge davanti a noi, magrolina e testarda, con un kimono giapponese e la frangetta; attraversa il nostro campo visivo vestita di pizzi e merletti come una grande dama del Sud e da cavallerizza più fortunata che provetta; veste con sincero, profondo dolore, ma impeccabile stile, i panni dell’elegante vedova e della magnanima benefattrice, passando brevemente nel ruolo in tweed di scrittore irlandese, per scivolare poi in un sari indiano a rassettarsi i capelli pervinca.
Ironica e melodrammatica, intelligente e allo stesso tempo frivola, dispotica ma buonissima. Per creare e tenere a bada un carattere così complesso nei fatti e leggero nelle apparenze come quello di zia Mame, dev’essere seduto alla scrivania uno scrittore con le palle. E si dica con le palle restando in tema, poiché il linguaggio spudorato, schietto, apparentemente frutto di continue distrazioni e smagliature, è uno dei punti di forza del romanzo, e dei suoi imperdibili, divertenti, geniali dialoghi, che oggi orde di sceneggiatori si scervellerebbero a scrivere.
Il gioco costante di messa in ridicolo di tutto ciò che si suppone serio – un bimbo rimasto orfano, una giovane donna in crisi finanziaria, una vedovanza, una guerra, il tempo che procede a singhiozzi e poi senza avvisare prorompe in un fiume di eventi – è in tutta zia Mame: nella sua figura, nella sua persona, nelle sue case, nei suoi domestici, nei suoi vestiti, nelle sue convinzioni pronte a cambiare con arbitrarietà istantanea, nelle sue parole, nei matti individui che la circondano.
Patrick, da personaggio, tenta con poco successo (ma anche poco impegno, a dir la verità) di mettere ordine in questo uragano Mame, finendo il più delle volte risucchiato nell’occhio del ciclone.
Ma Patrick, da autore, invece, riesce a dare un senso alla trottola impazzita di eventi, volti, personaggi, imponendo un corso più o meno strutturato alle avventure di Mame. La sua riuscita che ci permette oggi di ridere – realmente ridere davanti a un libro; ricordate l’ultima volta che vi è successo? – sfogliando le pagine di Zia Mame. E il suo cardine furono un editor, Julian Muller, e la sua Indimenticabile Zitella del New England, che conosciamo solo da un articolo di giornale, le cui vicende ricordiamo a stento, e comunque sempre e solo in antitesi a quelle di Mame Dennis.
Beatrice Morra